Zarathustra 78 | IL RISVEGLIO

IL RISVEGLIO

Dopo il canto del Viandante e Ombra, la caverna si riempì improvvisamente di risa e di strepito; e siccome tutti gli ospiti riuniti parlavano contemporaneamente e anche l'asino, in seguito a tale incoraggiamento, non poteva star più quieto, Zarathustra ebbe un moto di fastidio e di scherno per i suoi visitatori: sebbene fosse lieto della loro gioia. Giacchè essa gli pareva un segno di guarigione. Scivolò dunque fuori, all'aperto, e parlò ai suoi animali.

«Ove fuggì ormai la loro tristezza? – disse, e già sentiva scomparire il suo piccolo disgusto, – mi sembra che disimpararono presso di me il loro grido di aiuto!

– sebbene non abbiano ancora, sventuratamente, disimparato a gridare». E Zarathustra si turò le orecchie, poi che in quel momento l'I-A dell'asino si mescolava in modo strano allo strepito della gioia di quegli uomini superiori.

«Essi sono allegri – riprese egli a dire – e, chi sa, forse a spese dell'ospite loro; se impararono a ridere di me, non è però il mio riso ch'essi impararono.

Ma che importa! Son vecchia gente: essi guariscono a modo loro, ridono a modo loro; le mie orecchie sopportarono cose peggiori senza infastidirsene.

Questa giornata è una vittoria: e già dilegua, già fugge lo spirito di gravità, il mio vecchio nemico mortale! Come finirà bene questo giorno che cominciò tanto male!

E vuol finire. Già viene la sera: cavalca sul mare, il buon cavaliere! Come si culla beata nel ritorno verso casa, su la sua sella di porpora!

Il cielo guarda sereno, il mondo si distende nella sua profondità, e voi tutti, uomini singolari che veniste presso di me, val la pena di vivere con me!».

Così parlò Zarathustra. E allora risuonarono nuovamente nella caverna le risate e le acclamazioni degli uomini superiori: e di nuovo parlò Zarathustra.

«Essi abboccano; la mia esca giova, anche tra di loro il nemico fugge, lo spirito di gravità. Già essi imparano a ridere di sè stessi.

Il mio nutrimento virile fece effetto, e così le mie forti e gustose sentenze; e, in verità, non li nutrii di legumi che gonfiano. Ma di cibi che si convengono ai guerrieri e ai conquistatori: destai nuovi desiderii.

Vi sono speranze novelle nelle loro braccia e nelle loro gambe, e i loro cuori si allargano. Essi trovano parole nuove, e presto il loro spirito diverrà temerario.

Un tal cibo non è certamente adatto ai bambini nè alle donne languenti, vecchie o giovani. Occorrono altre cose per le viscere di costoro; io non sono nè il loro medico nè il loro maestro.

Il disgusto abbandona questi uomini superiori: ebbene! questa è la mia vittoria. Nel mio regno essi si espandono.

Aprono il cuore, mentre tornano ad essi le ore beate; e ruminano e divengono riconoscenti.

Questo io considero come segno migliore: essi divengono riconoscenti. Non passerà molto tempo, e inventeranno nuove feste e alzeranno monumenti commemorativi alle loro antiche gioie. Sono convalescenti!».

Così parlò Zarathustra, giocando in cuor suo, e guardando la sua gioia ed il suo silenzio.

Ma d'improvviso le orecchie di Zarathustra si spaventarono: la caverna che aveva finora infatti risuonato di strepiti e di risa fu subitamente pervasa da un silenzio mortale: – il naso di Zarathustra sentì però un profumo gradito d'incenso, come se bruciassero delle pigne.

«Che accade? che fanno?» si chiese accostandosi all'entrata per scorgere gli ospiti suoi senza esserne veduto. Ma, grande prodigio! Che vide allora coi propri occhi?

«Sono tutti ridivenuti pii; essi pregano, sono folli!» esclamò, stupito oltre ogni misura. E in verità, tutti quegli uomini superiori, due re, il papa fuori di servizio, il mago perverso, il mendicante volontario, il viandante e l'ombra, il vecchio indovino, il coscienzioso dello spirito, e l'uomo più brutto: erano tutti inginocchiati come bambini o vecchie devote, e pregavano l'asino. E già cominciava, l'uomo più brutto, a gorgogliare e a sbuffare come se alcunchè d'inesprimibile volesse uscire da lui; ma quando parlò veramente, ecco, salmodiava una strana, pia omelia in onore dell'asino adorato e incensato. E questa era la litania:

«Amen! E gloria, e onore, e saggezza, e riconoscenza, e lode, e forza siano al nostro Dio, in eterno!

– E l'asino ragliò I-A.

Egli porta i nostri carichi, si fece servo, è paziente di cuore e non dice mai di no; e quegli che ama il suo Dio deve castigarlo.

– E l'asino ragliò I-A.

Egli non parla se non per dir sempre sì al mondo ch'egli creò: così egli loda il suo mondo. È la sua astuzia che non lo fa parlare: così di rado ha torto.

– E l'asino ragliò I-A.

Senza pompa egli passa nel mondo. Il colore del suo corpo con il quale avvolge la sua virtù è grigio. Se egli ha spirito lo nasconde; ma tutti credono alle sue lunghe orecchie.

– E l'asino ragliò I-A.

Quale nascosta saggezza è questa, ch'egli abbia lunghe orecchie e dica sempre di sì e mai di no! Non creò forse il mondo secondo l'immagine sua, cioè tanto sciocco quant'è possibile?

– E l'asino ragliò I-A.

Tu segui vie diritte e tortuose; ciò che gli uomini dicono dritto o tortuoso poco t'importa. Il tuo regno è al di là del bene e del male. La tua innocenza è appunto non sapere ciò ch'è l'innocenza.

– E l'asino ragliò I-A.

Vedi un pò come non respingi alcuno, nè il mendicante nè il re. Lasci venire a te i piccoli fanciulli, e se i ragazzacci ti stuzzicano tu rispondi col tuo semplice ja.

– E l'asino ragliò I-A.

Tu ami le asine e i fichi freschi, nè in quanto al cibo sei schizzinoso. Un cardo ti fa palpitare il cuore quando hai appetito. V'è in ciò la saggezza di un Dio.

– E l'asino ragliò I-A.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli