Zarathustra 68 | L'UOMO PIÙ BRUTTO

L'UOMO PIÙ BRUTTO

E di nuovo Zarathustra errò per le foreste e i monti; e gli occhi suoi cercavano senza posa, ma da nessuna parte poteva vedersi colui che egli voleva vedere, il grande sofferente che invocava soccorso. Ma lungo tutto il cammino, egli si rallegrava in cuor suo ed era riconoscente. «Quante buone cose mi diede questa giornata, si diceva, per compensarmi di averla incominciata male. Quali bizzarri interlocutori trovai!

Voglio tritare a lungo le loro parole come dolci granelli; il mio dente li macinerà e li ridurrà in polvere, finchè non mi coleranno come latte nell'anima!».

Ma allo sbocco di un sentiero che s'avvolgeva intorno a uno scoglio, subito mutò il paesaggio, e Zarathustra entrò nel regno della morte. Si ergevano là, punte nere e rosse: e non v'era erba nè volo di uccello. Giacchè tutti gli animali fuggivano quella valle, anche le bestie feroci; soltanto una specie di grossi serpenti verdi, orribili, venivano a morirvi quando erano vecchi. I pastori chiamavano la valle: Tomba dei Serpenti.

Ma Zarathustra s'immerse in tetri ricordi, poichè gli sembrava di essersi trovato già in quella valle. E gli si fece pesante lo spirito: cosicchè egli si mise a camminar lentamente, sempre più lentamente, e s'arrestò infine. Ma allora guardando bene egli vide qualche cosa d'informe lungo la strada, quasi umana figura, e però con poco d'umano, qualcosa d'innominabile. E d'un tratto Zarathustra fu assalito da una grande vergogna per aver veduto con gli occhi tal cosa; arrossendo fino alla cima dei suoi bianchi capelli, egli distolse lo sguardo, ed alzò il piede per lasciare quel luogo nefasto. Ma subito un suono echeggiò nel deserto: venne dal suolo quasi un mormorio e un ribollimento, come quando l'acqua gorgoglia e singhiozza nei tubi chiusi, di notte; e finì per essere voce umana e umana parola: che diceva così:

«Zarathustra, Zarathustra! indovina il mio enigma! parla! parla! qual'è la vendetta contro il testimonio?

Io t'attiro indietro dove liscio è il ghiaccio! Bada, bada, che il tuo orgoglio qui non si rompa le gambe!

Tu ti credi saggio, o fiero Zarathustra! indovina dunque l'enigma, tu che spezzi le noci più dure, – l'enigma che sono io! Parla; chi sono io!»

Ma quando Zarathustra ebbe udito queste parole, – che pensate passasse nell'anima sua? fu assalito da compassione; e d'un tratto cadde a terra come una quercia, che dopo aver resistito ai colpi di molti boscaioli cade pesantemente con spavento di quelli che volevano abbatterla. Ma in breve risorse, e il suo volto si fece duro.

«Io ti riconosco bene – diss'egli con voce sonora – tu sei l'assassino di Dio! lasciami andare.

Tu non sopportasti colui che ti vedeva – che ti vedeva sempre dovunque, tu, il più brutto degli uomini. Tu ti vendicasti del tuo testimonio!».

Così parlò Zarathustra e già si disponeva ad andarsene: ma l'innominabile afferrò un lembo della sua veste e cominciò a gorgogliare di nuovo, ed a cercare parole «Rimani! diss'egli infine –

– rimani! Non andar oltre! Io indovinai quale scure ti ha percosso: salve, o Zarathustra, che sei di nuovo in piedi!

Tu hai indovinato, lo so, ciò che passa nell'anima di colui che uccise Dio – l'assassino di Dio. Rimani! Siedi dunque presso di me, e non sarà invano.

Verso di chi andrei se non verso di te? Rimani, siediti. Ma non guardarmi! Onora così la mia bruttezza...

Essi mi perseguitano: tu sei ora il mio supremo rifugio.

Non con il loro odio mi perseguitano, non coi loro aguzzini: oh!, io mi riderei di una tale persecuzione, ne andrei fiero e giocondo!

Il successo non arrise forse fin qui a quelli che furono più perseguitati? E colui che bene perseguita impara a seguire facilmente: – ed è infatti già dietro!... Ma è la loro compassione che mi perseguita,

– è la loro compassione che fuggo ed è contro di essa che cerco rifugio presso di te. O Zarathustra, proteggimi, tu mio rifugio supremo, tu il solo che mi indovinò:

– tu indovinasti che passa nell'anima di quegli che uccise Dio. Resta! e se vuoi andartene, viaggiatore impaziente, non prendere il cammino dal quale io son venuto. Quel cammino è funesto.

Ti adiri con me, perchè da lungo ti parlo così? Perchè già ti consiglio... Ma sappilo, son io il più brutto tra gli uomini –

– colui che ha pure i piedi più grandi e pesanti. Ovunque io passai, il cammino è cattivo. Io sconcio e guasto tutte le strade.

Ma vidi che tu volevi passare silenzioso presso di me, e m'accorsi del tuo rossore; ti riconobbi perciò, Zarathustra.

Un altro qualsiasi m'avrebbe gettato la sua elemosina, la sua pietà con lo sguardo e con la parola. Ma non son mendicante abbastanza, tu indovinasti –

– son troppo ricco, ricco di cose grandi – terribili, di bruttezza, d'inesprimibilità! La tua vergogna, o Zarathustra, mi fece onore!

Con fatica sfuggii dalla ressa dei compassionevoli, per trovare chi, solo tra tutti, insegna oggi che «la compassione è importuna» – e sei tu, Zarathustra!

Sia pietà di un Dio o di uomini: la compassione è contro il pudore. E il non voler soccorrere può essere cosa più nobile che non la virtù pronta sempre all'aiuto.

Ma questa è oggi chiamata dalla piccola gente la virtù per eccellenza, la compassione; essi non hanno rispetto per la grande sventura, la grande bruttezza, la grande difformità.

Il mio sguardo passa al di sopra di tutti costoro, come un cane guarda oltre il dorso delle pecore belanti. Sono esseri piccoli, grigi, lanosi, pieni di buona volontà.

Come un airone che guarda sdegnoso, col capo eretto oltre alla palude; così io guardo oltre il brulichio delle piccole onde grigie, delle volontà delle anime piccole. Troppo a lungo si diede ragione a questa piccola gente: fu così che si diede loro, infine, la stessa potenza – ora essi insegnano: «è buono soltanto ciò che dice buono la gente piccina».

E si chiama oggi «verità» ciò che disse il predicatore sorto in mezzo a loro, quello strano santo e avvocato della gente piccina che testimoniò di sè stesso «io – sono la verità».

Quel presuntuoso fece gonfiar da troppo tempo la cresta alla gente piccina – egli che proclamando «io sono la verità» insegnava un grande errore.

Si diede mai più cortese risposta a tal presuntuoso? Eppure, Zarathustra, tu gli passasti dinanzi, dicendo «No! no! Tre volte no!».

Tu ponesti gli uomini in guardia contro il suo errore, tu fosti il primo a mettere in guardia contro la pietà, – non tutti, non nessuno, ma te ed i tuoi.

Tu ti vergogni della vergogna dei grandi dolori, e, in verità, quando dici: «Dalla compassione una gran nube s'eleva, attenzione, voi uomini!».

– Quando tu insegni: «Tutti i creatori sono duri, ogni grande amore è al di sopra della sua compassione»: o Zarathustra come mi sembri conoscere bene i segni del tempo!

Ma tu stesso – bada alla tua stessa pietà. Giacchè molti vi sono che camminano verso di te, molti di quelli che soffrono, dubitano, disperano, s'annegano e gelano.

Ti metto in guardia anche contro di te. Tu indovinasti il mio enigma peggiore e migliore, me stesso e quello che feci. Io conosco la scure che ti minaccia. Ma egli – doveva morire; vedeva con occhi che tutto vedevano, vedeva le profondità e gli abissi dell'uomo, tutte le sue vergogne, le sue brutture nascoste.

Non conosceva pudore la sua pietà; egli s'insinuava nei luoghi più immondi dell'essere mio. Doveva morire, quel curioso fra tutti, quell'indiscreto, quel misericordioso all'eccesso.

Mi vedeva senza riposo; dovetti vendicarmi di un tal testimonio – oppure non vivere più.

Il Dio che tutto vedeva, anche l'uomo: questo Dio doveva morire! L'uomo non sopporta che viva un tal testimonio».

Così parlò il più brutto tra gli uomini. Ma Zarathustra s'alzò, e s'accinse a partire, poichè si sentiva gelare fin nelle viscere.

«Essere innominabile», disse, «tu m'hai messo in guardia, contro la tua strada. Per ringraziartene ti cedo la mia; guarda, lassù c'è la caverna di Zarathustra.

La mia caverna è grande e profonda e ha molti angoli; anche il più misterioso trova là il suo nascondiglio.

E vi sono anche fessure e crepacci per gli animali che strisciano, volano e saltano.

Ma tu, bandito che t'esulasti, non vuoi vivere tra gli uomini e tra l'umana pietà? Ebbene, fa come me! Così imparerai anche da me! impara soltanto quegli che agisce.

Comincia a parlare con i miei animali! L'animale più fiero, e l'animale più accorto – siano per noi due i veri consiglieri!».

Così parlò Zarathustra e proseguì il suo cammino, più pensieroso di prima e più lentamente; giacchè chiedeva a sè molte cose, e non trovava facilmente risposta.

«Quanto è povero l'uomo!», pensava in cuor suo, «quanto è brutto, gonfio di fiele e pieno di nascosta vergogna!

Mi si dice che l'uomo ama sè stesso! Ahimè, come grande dev'essere questo amore di sè! Quanto disprezzo ha da vincere!

Anche costui s'amava sprezzandosi – egli è per me un grande amatore, e un gran sprezzatore.

Mai m'incontrai in alcuno che si sprezzasse di più: questa pure è altezza. Ahimè! Era forse costui l'uomo superiore del quale avevo udito il grido?

Amo i grandi spregiatori. Ma l'uomo è qualcosa che deve essere superata».

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli