Zarathustra 76 | DELLA SCIENZA

DELLA SCIENZA

Così cantò il mago; e tutti coloro che stavano riuniti si lasciarono attrarre come uccelli, nella rete della sua astuta voluttà. Soltanto il coscienzioso dello spirito non s'era lasciato prendere; egli afferrò rapidamente l'arpa al mago, e gridò: «Aria! Fate entrare aria pura! Lasciate entrar Zarathustra! Tu rendi pesante e avvelenata l'aria di questa caverna, mago vecchio e malvagio!

Tu, falso e astuto, ci conduci con la tua sedizione a deserti e a desideri sconosciuti. E guai, quando i tuoi pari si mettono a ciarlare della verità e le danno importanza!

Guai a tutti gli spiriti liberi che non stanno in guardia contro tali maghi. La loro libertà è perduta: tu li persuadi e li attiri a rientrare in prigione, –

– tu, vecchio demonio malinconico; i tuoi lamenti suonano come un richiamo di zufolo; tu assomigli a coloro che esaltano la castità per lusingare gli altri, segretamente, al piacere!».

Così parlò il coscienzioso; ma il vecchio mago si guardò intorno e gioì della propria vittoria, scacciando così il dispetto che gli faceva il coscienzioso. «Taci», disse a bassa voce, «le buone canzoni vogliono una buona eco; dopo le buone canzoni bisogna rimanere a lungo silenziosi. Così fan gli uomini superiori. Ma tu non hai compreso che ben poco del mio canto. In te fa difetto lo spirito incantatore».

«Tu mi lodi, rispose il coscienzioso, separandomi da te; ebbene! Ma voi altri, che vedo? Voi sedete ancora tutti quanti con sguardi di desiderio: –

O anime libere, ove andò dunque la vostra libertà? Mi sembra che assomigliate a quelli che guardarono a lungo le danze di nude perverse fanciulle: le vostre stesse anime danzano!

Dev'esserci in voi, o uomini superiori, molto più di ciò che il mago chiama il suo cattivo spirito incantatore e ingannatore: – dobbiamo necessariamente essere differenti.

E in verità, noi parlammo e pensammo insieme abbastanza, prima che Zarathustra facesse ritorno alla sua caverna, perchè io sappia che noi siamo differenti.

Noi cerchiamo cose differenti, anche quassù, voi e me. Io infatti cerco maggiore sicurezza, e perciò venni da Zarathustra. Giacchè è lui la torre e la volontà più solida –

– oggi che tutto vacilla e la terra trema. Ma voi, quando vedo gli occhi che fate, crederei quasi che voi cercaste maggiore incertezza,

– più brivido, più pericolo, più terremoto. Mi sembra quasi che abbiate maggior desiderio, perdonate la mia presunzione, o uomini superiori –

– maggior desiderio della vita più inquieta e pericolosa, che a me desta più timore, la vita d'animali selvaggi, il desiderio di foreste, caverne, monti scoscesi e labirinti.

E non sono coloro i quali vi conducono fuori del pericolo che più vi piacciono, bensì coloro che vi fanno deviare il cammino e vi allontanano da ogni strada, i seduttori. Ma se tali desideri in voi sono veri, essi mi sembrano tuttavia impossibili.

Giacchè la paura è il sentimento innato e primo dell'uomo; giacchè la paura spiega ogni cosa, il peccato originale e l'originale virtù. La mia virtù nacque anch'essa dalla paura; e si chiama: scienza.

Giacchè la paura degli animali selvaggi – è questa paura che l'uomo conobbe da tempo più lungo, insieme con quella dell'animale ch'egli cela e teme in sè stesso – Zarathustra la chiama «la bestia inferiore».

Questa lunga antica paura diventa ormai più fine e spirituale – si chiama oggi, mi pare, scienza».

Così parlò il coscienzioso; ma Zarathustra che rientrava allora appunto nella caverna, e che aveva udito e indovinato l'ultima parte del discorso, gettò una manciata di rose al coscienzioso, ridendo delle sue «verità». «Come! – gridò – che cosa udii? Invero mi sembra che sei folle tu oppure che lo sono io: e m'affretto a capovolgere la tua verità.

Giacchè la paura – è la nostra eccezione. Ma il coraggio, lo spirito avventuroso e la gioia dell'incertezza e di ciò che ancor non fu tentato – il coraggio, mi pare tutta la storia primitiva dell'uomo.

Egli ebbe invidia delle virtù delle bestie più coraggiose e selvagge, e gliele rubò: così soltanto divenne egli – uomo.

Questo coraggio affinatosi e spiritualizzatosi, questo umano coraggio, con l'ali dell'aquila e l'astuzia del serpente: esso mi pare che oggi si chiami....».

«Zarathustra!» gridarono unanimi tutti coloro che eran riuniti, e scoppiando in una grande risata; ma s'alzò da loro come una pesante nube. Anche il mago rise e parlò sagace: «Ebbene, scomparve il maligno mio spirito!

E non vi posi io stesso in guardia contro di lui, quando dicevo ch'egli era impostore, spirito di menzogna e d'inganno?

Soprattutto quando si mostra nudo. Ma che posso fare contro le sue malizie? Son io forse che lo creai e creai il mondo?

Ebbene! Dimentichiamo ogni cosa! E sebbene Zarathustra abbia cupo lo sguardo – guardate dunque! egli è sdegnato con me: –

– prima che giunga la notte egli imparerà nuovamente ad amarmi ed a lodarmi, egli non può vivere a lungo senza fare tali follie.

Egli, – ama i nemici suoi: è lui che conosce quest'arte meglio di tutti coloro che incontrai. Ma egli se ne vendica – sopra gli amici!».

Così parlò il vecchio mago, e gli uomini superiori l'acclamarono: di modo che Zarathustra fece il giro della caverna e con malizia ed amore strinse la mano agli amici, – come chi abbia da chiedere a tutti scusa e perdono. Ma quando giunse alla porta della caverna, ecco di nuovo desiderò l'aria pura e libera, e i suoi animali – e volle uscire all'aperto...

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli