Zarathustra 79 | LA FESTA DELL'ASINO

LA FESTA DELL'ASINO

A questo punto della litania Zarathustra non potè più frenarsi e gridò anch'egli I-A, e ancora più forte dell'asino; e saltò fra i suoi ospiti impazziti. «Ma che fate dunque là, figli degli uomini? – egli esclamò rialzando da terra coloro che pregavano. Guai a voi, se altri che Zarathustra v'avesse scorto.

Ognuno direbbe che siete divenuti, colla vostra nuova fede, i peggiori bestemmiatori di Dio, ovvero più stolti delle vecchie donnicciuole! – E tu, vecchio papa, come può essere che tu adori un asino quale tuo Dio?»

«O Zarathustra, rispose il papa, perdonami, ma nelle cose di Dio io sono ancora più illuminato di te. Ed è giusto. – Meglio adorar Dio sotto questa forma che non adorarlo del tutto! Rifletti a questa parola, mio eccelso amico: tu indovinerai subito che questa parola racchiude grande saggezza.

Colui che disse: «Dio è puro spirito», fece sinora sulla terra il più gran passo e il più gran salto verso l'incredulità: non sono queste parole facili a riparare oggidì.

Il mio vecchio cuore sobbalza per la gioia di poter adorare ancora qualcosa sulla terra. Perdona, o Zarathustra, a un vecchio e pio cuore di pontefice!».

– «E tu, disse Zarathustra al viandante e ombra, «tu ti chiami spirito libero e ti reputi uno spirito libero? E ti dài qui a simile idolatria?

In verità tu fai qui cose peggiori che non presso le maliziose fanciulle brune, o cattivo nuovo fedele!».

«Sì, è triste», rispose il viandante e ombra, «hai ragione – ma che posso farci! Il vecchio Dio rivive, o Zarathustra; tu puoi dire quello che vuoi.

L'uomo più brutto è il colpevole di ogni cosa: fu lui a risuscitarlo. E dice che già l'uccise una volta; presso gli dèi la morte non è che un pregiudizio».

«E tu» riprese Zarathustra «vecchio mago cattivo, che facesti? Chi dunque crederà in te, in questi tempi di libertà, se tu credi in simili asinerie divine?

Facesti una sciocchezza; come potesti, tu accorto, fare una tale sciocchezza?».

«O Zarathustra, rispose il mago astuto, – hai ragione, fu una sciocchezza, e già mi pesa abbastanza».

«E anche tu», disse Zarathustra al coscienzioso dello spirito, «rifletti dunque e mettiti il dito al naso! Non si turba la tua coscienza? Il tuo spirito non è troppo puro per questo pregare, per questo puzzo di bigotti?».

«C'è qualcosa in questo spettacolo», rispose il coscienzioso, e pose il dito al naso, «v'è qualcosa in questo spettacolo che fa del bene alla mia coscienza.

Forse non ho il diritto di credere in Dio: ma è senza dubbio sotto questa forma che Dio mi sembra più degno di fede.

Dio dev'essere eterno, secondo la testimonianza dei più devoti: chi può disporre di tanto tempo può fare il comodo suo. Lento e sciocco quanto è possibile; può così andare molto lontano.

E colui che ha troppo spirito sarebbe felice d'innamorarsi della stoltezza e della follia. Rifletti su te medesimo, o Zarathustra! Tu stesso, in verità, potresti anche tu per eccesso di saggezza divenire un asino.

Un saggio perfetto non segue forse volentieri il più tortuoso cammino? L'apparenza lo prova, o Zarathustra, la tua apparenza».

«E tu stesso infine», disse Zarathustra rivolgendosi all'uomo più brutto che giaceva ancora al suolo, il braccio teso verso l'asino (giacchè gli dava a bere del vino). «Parla, ineffabile, che hai fatto costì?

Tu mi sembri trasformato; l'occhio tuo arde, il mantello del sublime copre la tua bruttezza: che facesti?

È dunque vero ciò che dicono quelli, che tu l'hai risuscitato? E perchè? Non era stato ucciso e soppresso a ragione?

Tu stesso mi sembri desto; che facesti, che rovesciasti? Perchè ti convertisti? Parla, o ineffabile!».

«O Zarathustra – rispose l'uomo più brutto – tu sei uno scaltro!

Che Colui viva ancora, o riviva, o sia morto davvero, chi di noi due lo sa meglio? Io chiedo a te.

Ma io so una cosa – e l'imparai da te un giorno, o Zarathustra: colui che vuole uccidere del tutto, ride.

Non con la collera ma con il riso si uccide – così tu dicesti una volta. O Zarathustra, tu misterioso, tu distruttore, tu santo pericoloso, – tu sei uno scaltro!».

Ma accadde allora che Zarathustra, stupito di quelle risposte maligne, si slanciasse di nuovo alla porta della sua caverna, e rivolgendosi a tutti i suoi ospiti, con voce sonora gridasse:

«O voi pagliacci e buffoni tutti quanti! Perchè dissimulare e nascondervi dinanzi a me?

Come trasaliva però di gioia e di cattiveria il cuor di ciascuno di voi, per essere divenuti pii come bambini, – per avere infine agito di nuovo come i bambini, per aver pregato, giunto le mani e detto «buon Dio»!

Ma ora lasciate questa camera di bambini, la mia caverna, ove oggi convennero tutte le puerilità. Rinfrescate all'aperto la vostra impetuosità infantile, e il battito del vostro cuore!

Certo, se non ridivenite simili ai fanciulli non entrerete in quel regno dei cieli. (E Zarathustra accennò verso l'alto).

Ma noi non vogliamo affatto entrare nel regno dei cieli: noi siamo uomini – vogliamo perciò il regno de la terra».

E di nuovo Zarathustra cominciò a parlare. «O miei nuovi amici» diss'egli «uomini singolari, voi che siete gli uomini superiori, come mi piacete adesso, –

– da che ridiveniste giocondi! Voi siete, in verità, tutti sbocciati; mi sembra che per fiori simili a voi ci vogliano nuove feste,

– una piccola valorosa follìa, un culto o una festa dell'asino, un vecchio pazzo e un allegro Zarathustra, un turbine che, col suo soffio, vi rischiari l'anima.

Non dimenticate questa notte e questa festa dell'asino, o uomini superiori. Ecco ciò che inventaste presso di me, e lo prendo come buon segno – solo i convalescenti inventano cose simili!

E se festeggiaste un'altra volta questa festa dell'asino, fatelo per amor vostro ed anche per amor mio. E in mia memoria!».

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli