Zarathustra 49 | PRIMA DEL LEVAR DEL SOLE

PRIMA DEL LEVAR DEL SOLE

Oh, cielo sopra di me, tu puro! Profondo! Abisso di luce! Nel contemplarti fremo di desideri divini.

Slanciarmi nelle tue altezze – ecco la mia profondità! Nascondermi nella tua purezza – ecco la mia innocenza!

Il Dio si vela della sua bellezza: così tu nascondi le tue stelle. Tu non parli: così tu mi dimostri la tua saggezza.

Muto sopra il mare in tumulto m'apparisti oggi; il tuo amore e il tuo pudore sono rivelazione per l'anima mia tumultuante.

Venisti a me velato nella tua bellezza; tu mi parli senza parole, rivelandoti con la tua saggezza:

Oh, come non indovinai tutto il pudore dell'anima tua! Tu venisti a me prima del sole, o solitario.

Noi siamo amici dall'eternità; noi abbiamo comuni la tristezza, lo spavento, l'orrore; abbiamo comune anche il sole.

Noi non parliam fra di noi, perchè troppe cose sappiamo –: noi stiamo in silenzio e ci comunichiamo con un sorriso la nostra sapienza.

Non sei tu forse la luce del mio fuoco? Non hai tu forse un'anima sorella per la mia intima conoscenza?

Imparammo insieme ogni cosa, insieme imparammo ad ascendere oltre noi stessi, ed a ridere senza nubi:

– senza nubi, sorridendo con occhi sereni e da immense distanze, mentre sotto di noi vaporano come pioggia, la costrizione, l'avidità, la colpa.

E quando vagai solitario: di che cosa era affamata l'anima mia, nelle notti e nel sentiero dell'errore? E quando m'arrampicai su pei monti, chi vi cercai se non te?

E tutto il mio errare e il mio ascendere: era soltanto un bisogno e un espediente dell'impotenza: – Volare è l'unica cosa cui aspira la mia volontà, volare in te!

E cosa odiai di più delle nubi che passano e tutto ciò che ti offusca? E odiai lo stesso odio mio, perchè ti macchiava!

Ho in fastidio le nubi che passano, questi furtivi gatti di rapina: essi prendono a te ed a me ciò che abbiamo in comune, – l'immenso, infinito; dire Sì e Amen.

Noi detestiamo queste mezzane e queste intruse, le nubi che passano; queste ambigue creature, che non sanno benedire e non maledire dal fondo del cuore.

Voglio piuttosto chiudermi dentro una botte e non scorgere il cielo, e seder ne l'abisso, anzi che veder te, cielo e luce macchiato dalle nubi che vanno!

E sovente provai il desiderio d'inchiodarle coi fili d'oro, frastagliati, del fulmine, e di battere il timpano sul loro ventre gonfio, come uno scoppio di tuono:

– suonatore di timpano, irato, perchè esse rubano a me il tuo Sì e il tuo Amen! oh, cielo sulla mia testa, tu puro, splendente: Tu abisso di luce! – e rubano a te il mio Sì e il mio Amen!

Preferisco lo strepito e il tuono, e gli oltraggi del tempo cattivo, a questo riposo di gatto circospetto, esitante; e anche tra gli uomini odio soprattutto quelli che camminano lieve, mezze creature, dubbiose, esitanti come le nubi.

E «chi non sa benedire, deve imparare a maledire!» – questa chiara dottrina mi cadde dal cielo sereno, stella che sta nel mio cielo anche nelle notti più buie.

Ma io sono uno che benedice, uno che dice di Sì, perchè tu mi attorni, tu puro! Fulgente! Tu abisso di luce! – in tutti gli abissi porterò allora il mio Sì, che benedice.

Io divenni uno che benedice e che afferma: e lottai a lungo perciò, e fui lottatore a fin d'aver libere un giorno le mani per benedire.

Ma è questa la mia benedizione: essere al di sopra d'ogni cosa come il suo cielo, come il suo sferico tetto; la sua cupola azzurra, la sua eterna certezza: e beato è colui che benedice in tal modo.

Poichè tutte le cose furono battezzate al fonte dell'eternità, oltre i confini del bene e del male; bene e male non sono che ombre fuggenti e cupe tristezze, e nubi che passano!

In verità, io benedico e non bestemmio se insegno: «sopra tutte le cose regna il cielo del caso, il cielo innocenza il cielo imprevisto, il cielo capriccio».

«Per caso» – ecco la più antica nobiltà del mondo che io ho resa a tutte le cose, liberandole dalla servitù di uno scopo. Questa libertà e serenità celeste, io misi, come un'azzurra campana sopra tutte le cose, quando insegnai che sopra di esse, e per esse, nessuna «eterna volontà» vuole.

Questo capriccio e questa follìa io posi in vece di quella volontà, quando insegnai: «in tutto è solo una cosa impossibile – la ragionevolezza!».

Un po' di ragione, è vero, un germe di saggezza disperso da stella a stella, – ecco il lievito frammisto a tutte le cose; per amor della follìa la saggezza è mischiata in tutte le cose.

È possibile un po' di sapienza, ma questa beata sicurezza trovai in tutte le cose: che esse preferiscon danzare sui piedi del caso.

Oh, cielo sopra di me, tu puro! Alto! Questa è ora per me la tua purezza, che non v'è alcun ragno o eterna tela di ragno della ragione: –

– che tu sei per me un luogo di danza per i divini capricci del caso, una mensa divina per dadi e giuocatori divini! –

Ma tu arrossisci? Dissi cose indicibili? Bestemmiai volendo benedirti?

O forse il pudore di essere in due ti fa arrossire? M'imponi che vada e che taccia perchè viene il giorno?

Il mondo è profondo: e più profondo di quanto il giorno credesse. Non tutto può dirsi in presenza del giorno. Ma il giorno s'appressa: separiamoci, dunque!

Oh, cielo sopra di me, tu verecondo! Ardente! Oh gioia mia, prima che il sole si levi! Viene il giorno: separiamoci, dunque!

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli