Zarathustra 34 | CANTO FUNEBRE

CANTO FUNEBRE

«Laggiù è l'isola dei sepolcri, la silente; laggiù è pure il sepolcro della mia giovinezza. Là voglio portare una corona di semprevivi della vita».

Così risolvendo nel cuore, attraversai il mare.

Oh, visioni e imagini della mia giovinezza! Oh, voi tutti sguardi dell'amore, istanti divini! Come presto vi dileguaste! Io ripenso a voi, oggi, come ai miei morti.

Da voi, o morti diletti, mi giunge un dolce profumo, che mi scioglie il cuore e m'induce al pianto. In verità esso scuote e commuove il cuore del solitario navigante.

Ma ancora io sono, tra i ricchi, il più ricco, e il più degno di invidia, io, il più solitario! Poichè io ebbi voi e voi m'aveste ancora: ditemi, per chi, come per me, caddero dall'albero tante melagrane?

Io sono ancor sempre l'erede e il terreno fecondo del vostro amore, fiorente, in vostra memoria di virtù selvaggiamente rigoliose, o amatissimi!

Ah, noi eravamo creati per rimaner vicini l'uno all'altro, o deliziose e strane meraviglie; e voi non veniste incontro a me ed ai miei desideri timidi come timidi uccelli – ma pieni di fede in chi aveva fede!

Sì, creati per la fede e per l'eternità degli affetti, al pari di me: così devo chiamarvi anche dopo la vostra infedeltà, o sguardi e momenti divini: non imparai ancora altro nome.

In verità troppo presto moriste per me, o fuggitivi. Eppure voi non fuggiste da me, nè io fuggii da voi: entrambi siamo colpevoli d'infedeltà.

Per uccidere me strozzarono voi, uccelli canori delle mie speranze! Sì, contro di voi, o dilettissimi, fu sempre rivolta la freccia della malvagità – per colpire il mio cuore!

Ed essa colpì! Poichè voi foste sempre ciò ch'io ebbi di più caro, ciò che possedevo e da cui ero posseduto per ciò doveste morir giovani e immaturi!

Si puntò la freccia contro quello che in me era più vulnerabile: eravate voi dalle piume morbide e delicate, simili ad un sorriso che un semplice sguardo può far morire!

Ma queste parole dirò ai miei nemici: che cos'è un omicidio, in confronto a ciò che mi faceste!

Cosa assai più rea, faceste a me, che non omicidio; voi mi toglieste ciò che non può ritornare: – così vi dico, o miei nemici!

Uccideste le visioni e i più cari prodigi della mia giovinezza! Mi toglieste i compagni di gioco, gli spiriti benedetti! In memoria di loro io depongo questa ghirlanda, e per vostra maledizione.

Questa sia la maledizione contro di voi, o nemici! Non faceste voi forse fuggevole ciò che in me era eterno, come un suono che si spezzi in una gelida notte? A me ciò non parve durar più d'un divino battere d'occhi, –un istante!

Così disse in un'ora buona la mia purezza: «tutti gli esseri sono per me divini».

Allora m'assaliste con luridi fantasmi; ahimè dove fuggì quell'ora felice!

«Tutt'i giorni debbono essermi sacri» – così disse un giorno la saggezza della mia gioventù: in verità un parlare di saggezza gioconda!

Ma voi, nemici, mi rubaste allora le mie notti e le condannaste alla tormentosa insonnia: ah, dove fuggì mai quella gioconda saggezza?

Desiderai un tempo auspici lieti: voi poneste sul cammino un mostruoso gufo. Ah, dove fuggirono allora i miei teneri desideri?

Giurai un dì di sottrarmi ad ogni fastidio: e voi piagaste di ulceri putride tutti coloro che m'eran vicino. Ah, dove fuggì allora il mio giuramento più nobile?

Come un cieco andai un giorno per strade felici: ma voi gettaste immondizie su la via del cieco: ed ora gli ripugna seguire quel vecchio cammino.

E quando ebbi compiuto ciò che v'è di più faticoso e festeggiai la vittoria d'aver superato me stesso: faceste che coloro che m'amavano gridassero che io recava loro il dolore più grande.

In verità, operaste sempre così: mesceste il vostro fiele nel miele delle mie api più assidue.

Inviaste a la mia compassione i più insolenti mendicanti; circondaste la mia pietà degli esseri più incurabilmente senza vergogna. Feriste così nella loro fede le mie virtù.

E quand'anche avessi offerto in sacrificio la cosa a me più cara: la vostra «pietà» si presentava con doni più grassi: sicchè nel vapore del vostro grasso soffocava ciò che avevo di più sacro.

E volli una volta danzare come mai non avevo danzato: danzare al di là di tutti i cieli. E allora voi corrompeste il mio cantore più diletto.

Ed egli intonò una melodia orribile e tetra: ah, essa risuonava alle mie orecchie come lugubre corno!

Oh, cantore assassino, strumento di malvagità, il più innocente di tutti! Già ero pronto alla danza migliore: tu uccidesti coi tuoi suoni il mio rapimento!

Soltanto nella danza mi sento atto a parlare in similitudini delle cose più eccelse: – ma la più leggiadra delle mie similitudini mi rimase soffocata in gola!

Inespressa e insoddisfatta rimase la mia più alta speranza! E morirono per me tutte le visioni e tutti i conforti della mia gioventù!

Come potei sopportare tal cosa? Come dimenticai e vinsi tali ferite? Come risorse l'anima mia da un tale sepolcro?

Sì, v'è in me qualche cosa che non si può ferire o colpire e spezza anche le rocce: è la mia volontà. Taciturna e immutabile essa incede attraverso gli anni.

Vuol camminar coi miei piedi, la mia vecchia volontà; il suo senso è duro e invulnerabile.

Io non sono invulnerabile che nel tallone. Ancora sempre tu vivi e sei rimasta eguale a te stessa, o pazientissima! Ancor sempre passasti fra tutti i sepolcri!

In te vive ancora ciò che non seppe redimersi nella mia giovinezza; e come vita e giovinezza tu sedesti sperando sui tumuli ingialliti.

Sì, tu sei ancor per me colei che infrange tutti i sepolcri: Salve o mia volontà! E solo dove sono i sepolcri è possibile la resurrezione.

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli