Zarathustra 66 | IL MAGO

IL MAGO

1.

Ma costeggiando una roccia, Zarathustra vide, non lontano, al di sotto di lui, sullo stesso cammino, un uomo che si dibatteva come un ossesso e poi cadde prono, a terra. «Ferma! – disse allora Zarathustra al suo cuore – quegli dev'essere l'uomo superiore, è da lui che proviene quel sinistro grido d'aiuto, – voglio vedere se posso soccorrerlo». Ma quando egli accorse al luogo ove l'uomo giaceva per terra, trovò un vecchio tremante, dagli occhi fissi; e la fatica di Zarathustra per rialzarlo e rimetterlo in piedi, fu vana... L'infelice sembrò non avvedersi neppure che presso di lui v'era qualcuno; non cessava al contrario di guardare di qui e di là, con gesti commoventi, come un abbandonato dal mondo e isolato. Ma infine, dopo molto tremare ed ansare e dibattersi, egli cominciò a lamentarsi così:

Chi mi riscalda, chi m'ama ancora?

Date calde mani!

Date cuori brucianti!

Disteso, pieno di brividi,

Come un moribondo al quale si riscaldano i piedi –

Scosso, ahimè! da febbri ignote.

Tremante dinanzi ad acuti ghiaccioli di brina,

Cacciato da te, pensiero!

Innominabile! Velato! Pauroso!

Cacciatore dietro le nubi!

Da te fulminato,

Occhio pieno di scherno che nell'oscurità mi contempli

Così giaccio,

Mi curvo, mi torco, m'angoscio,

Da tutti gli eterni martirii,

Colpito

Da te, cacciatore più crudele di tutti,

Tu, ignoto dio!

Colpisci più forte!

Colpisci ancora una volta!

Trafiggi, spezza il mio cuore!

Perchè tormentarmi

Con frecce acuminate?

Che miri di nuovo,

Non stanco dell'umano soffrire,

Con malizioso lampo divino negli occhi?

Tu non vuoi uccidere;

Martirizzare soltanto, martirizzare?

Perchè – martirizzarmi,

Tu sconosciuto Dio maligno? –

Ah! Ah! tu t'accosti, strisciante,

In questa mezzanotte?

Che vuoi tu? Parla!

Tu mi stringi, mi opprimi –

Ah! sei già troppo vicino!

Via! Via!

Respirare mi senti,

E spii il mio cuore

Tu, geloso –

Ma di che dunque geloso?

Vattene! Vattene! Perchè la scala?

Vuoi tu dentro

Nel cuore,

Introdurti, e nei miei più segreti

Pensieri?

Impudente! Ignoto! – Ladro!

Che vuoi rapire?

Che vuoi ascoltare?

Che vuoi estorcere,

Tu che torturi!

Tu – Dio carnefice!

Oppure devo, simile al cane,

Rotolarmi dinanzi a te?

Abbandonandomi ebro, fuori di me,

Scodinzolarti il mio amore?

Invano! Picchia ancora,

O più crudele tra i pungiglioni! No,

Non il cane – la tua selvaggina soltanto son io,

O più crudele tra i cacciatori!

Il più fiero tuo prigioniero,

Tu brigante dietro le nubi...

Parla infine!

Che vuoi tu, che spii il cammino, da me?

Tu che ti celi nei lampi! Ignoto! Parla,

Che vuoi tu, ignoto dio?

Come? Un riscatto?

Che vuoi tu come riscatto?

Chiedi molto – te lo consiglia il mio orgoglio!

E parla breve – te lo consiglia l'altro mio orgoglio!

Ah! Ah!

Me – tu vuoi? Me?

Me – tutto?...

Ah! Ah!

E tu mi tormenti, folle che sei,

Torturi la mia fierezza?

Donami amore – chi ancora mi scalda?

Chi mi ama ancora? – Da' mani calde,

Da' cuori brucianti,

Da' a me, il più solitario,

Che il ghiaccio, ah! sette volte, il ghiaccio

Presso gli stessi nemici.

Fa illanguidire,

Torna, sì abbandonati

Nemico più atroce,

Te – a me!...

Scomparve!

Fuggì egli stesso,

Il mio ultimo solo compagno,

Il mio grande nemico,

Il mio ignoto,

Il mio dio carnefice!

– No! Torna indietro

Con ogni tuo supplizio!

All'ultimo di tutti i romiti,

Ritorna!

Tutti i miei torrenti di lagrime corrono

A te, il fiume!

E la mia ultima fiamma del cuore

Divampa per te!

Oh, torna indietro,

Mio Dio sconosciuto! Mio dolore! Mia ultima gioia!

2.

Ma Zarathustra non potè, allora, più trattenersi, prese il suo bastone e picchiò con tutte le sue forze su colui che si lamentava. «Fermati! gli gridò con viso adirato: taci, o commediante! Falsario di monete! Mentitore spudorato! Ti riconosco bene!

Io ti riscalderò le gambe, malvagio negromante, so abbastanza, come si fa a riscaldare i tuoi pari!».

«Smetti, disse il vecchio balzando in piedi, non picchiarmi più, o Zarathustra! Il mio fu uno scherzo!

Tali cose fan parte del mio mestiere; volevo metterti alla prova dandoti questo saggio! E, in verità, penetrasti bene nell'intimo mio!

Ma tu pure – non mi desti piccola prova di te stesso. Tu sei duro, saggio Zarathustra. Duramente colpisci con le tue «verità», il tuo nodoso bastone mi costringe a dirti – questa verità!»

– Non adularmi – rispose Zarathustra, sempre irritato e cupo in volto, – o grande istrione! Tu sei falso: perchè mi parli di verità?

Tu pavone tra i pavoni, mare di vanità, qual parte hai rappresentata dinanzi a me, o negromante maligno?

Chi dovevo credere quando ti lamentavi così?».

«Il penitente dello spirito, disse il vecchio; ecco quello ch'io rappresentavo: tu stesso inventasti una volta tal nome –

– il poeta, il mago, che rivolge infine contro sè stesso il suo spirito, colui ch'è trasformato, e rabbrividisce per la propria scienza cattiva e cattiva coscienza.

E confessalo francamente: ci volle assai tempo, Zarathustra, prima che tu scopristi i miei artifici e la mia menzogna. Tu credevi alla mia miseria, quando tenevi la mia testa fra le tue mani, –

– e ti udii lamentare: «lo si amò troppo poco, troppo poco!».

Dell'averti ingannato fino a tal segno si rallegrava la mia malignità».

«Tu devi averne ingannati di quelli più astuti di me, duramente Zarathustra rispose. Io non mi guardo dagli ingannatori, devo essere senza prudenza; così vuole il mio destino.

Ma tu – devi ingannare; abbastanza ti conosco per saperlo! Bisogna che le tue parole abbiano sempre un senso da interpretarsi in due, tre, quattro modi. Anche ciò che tu confessasti non era nè vero abbastanza nè abbastanza falso per me!

Cattivo coniatore di false monete, come potresti fare altrimenti? Imbelletteresti perfino la tua malattia, se ti mostrassi nudo al tuo medico.

E così imbellettasti dinanzi a me la tua menzogna, quando dicesti: «l'ho fatto soltanto per ischerzo!» Vi era anche del serio là dentro; tu sei qualcosa come un penitente dello spirito!

Io indovino: tu divenisti il mago del mondo, ma verso te stesso più non ti rimane nè menzogna nè astuzia – per te stesso tu sei sfatato!

Tu mietesti il disgusto come tua unica verità. Nessuna parola è più genuina per te, bensì la tua bocca: lo schifo, cioè, che v'è su di essa».

«Chi sei tu dunque?, gridò allora il vecchio negromante, in tono di sfida. Chi ha il diritto di parlare così, a me, il più grande vivente del giorno?» – e un livido sguardo lanciò l'occhio suo, a Zarathustra. Ma subito si trasformò e disse con tristezza:

«O Zarathustra, sono stanco di ciò; l'arte mia mi disgusta, io non sono grande, e finger che vale? Ma tu lo sai pure – cercai la grandezza!

Volli rappresentare un grand'uomo, e molti ne convinsi; ma questa menzogna superò la mia forza. Per essa mi spezzo.

O Zarathustra; tutto in me è menzogna: ma che mi spezzo – questo mio spezzarmi è vero!».

«Ti onora, disse Zarathustra, l'aria cupa, e rivolto al suolo lo sguardo; ti onora aver cercato la grandezza, ma ciò ti tradisce insieme. Tu non sei grande.

Vecchio negromante maligno, ciò che tu hai di migliore e di più onesto, ciò che in te onoro, è che da te stesso ti sei stancato e hai detto: «Io non sono grande».

È in questo che io ti onoro qual penitente dello spirito: perchè l'esser sincero, sia pure per un attimo, è degno di lode.

Ma dimmi, chi cerchi tu nelle mie foreste e tra le mie rupi? E se per me ti ponesti lungo il mio cammino, quale prova volevi da me? in che cosa volevi tentarmi?»

Così parlò Zarathustra; e gli brillavano gli occhi. Il vecchio mago fece una pausa e poi disse: «Ti tentai? No, io cerco soltanto.

Oh, Zarathustra, io cerco qualcuno sincero, probo, semplice, che abbia un solo significato, l'uomo della rettitudine, vaso di saggezza, santo della conoscenza, un uomo grande!

Non lo sai tu dunque o Zarathustra? Io cerco Zarathustra».

Ci fu allora un lungo silenzio tra i due; ma Zarathustra s'immerse in sè stesso e chiuse gli occhi. Poi tornando al suo interlocutore, prese la mano del mago e disse pieno di gentilezza e d'astuzia:

«Ebbene! Ecco lassù la via che conduce alla caverna di Zarathustra, là puoi trovare colui che cercasti.

E chiedi consiglio ai miei animali, all'aquila mia ed al mio serpente: ti aiuteranno a cercare. Ma la mia caverna è vasta.

È vero che io stesso – non vidi ancora un uomo grande. Per ciò ch'è grande, l'occhio del più sottile è oggi ancora troppo grossolano. È il regno della plebe.

Molti già ne trovai, e si gonfiavano e s'innalzavano mentre il popolo gridava: «Vedete dunque, un grande uomo!» Ma a che giovano tutti i mantici! il vento ne esce infine.

Scoppia infine la rana che s'era troppo gonfiata: e n'esce il vento. Bucare chi s'è gonfiato è ciò che chiamo un divertimento piacevole. Sappiatelo, ragazzi!

L'oggi appartiene alla plebe: chi sa ancora, ciò ch'è grande od è piccolo? Chi cercò mai con successo la grandezza? I pazzi soltanto: i pazzi hanno fortuna.

Tu cerchi uomini grandi, mirabile folle? Chi ti insegnò questo? È oggi il momento opportuno? O maligno cercatore, perchè – mi tenti?» –

Così parlò Zarathustra, riconfortato nel cuore; e ridendo proseguì la sua via.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli