PARTE SECONDA
«... e soltanto allorchè mi avrete tutti rinnegato, io tornerò fra di voi.
In verità, miei fratelli, con altri occhi cercherò allora quelli che ho smarrito; vi amerò d'altro amore».
Zarathustra.
IL BAMBINO E LO SPECCHIO
Dopo di ciò Zarathustra ritornò sulla montagna e nella solitudine della sua caverna, sottraendosi agli uomini: e vigilò come un seminatore che ha gettato la sua semente. Ma l'anima sua s'empì d'impazienza e del desiderio di quelli che amava: giacchè aveva ancora molte cose da dar loro. Questa è veramente la più difficile cosa: chiudere per amore la mano aperta, e conservare il pudore donando.
Così trascorsero per il solitario i mesi e gli anni; ma crebbe la sua sapienza e lo faceva soffrire per la sua pienezza.
Un mattino egli si destò tuttavia prima dell'aurora; stette a lungo sul suo giaciglio, pensoso e così parlò infine al suo cuore:
– Che cosa m'ha tanto spaventato nel sogno da farmi destare? Non s'avanzò verso di me un bambino che teneva in mano uno specchio?
O Zarathustra, – mi disse il bambino, – guardati nello specchio! –
Ma quando guardai nello specchio, gridai e il mio cuore tremò fortemente: giacchè non vi scorsi me stesso, ma le smorfie e il riso sarcastico di un demonio.
In verità io comprendo troppo bene il significato e l'ammonimento del sogno: la mia dottrina è in pericolo, la mala erba vuol chiamarsi frumento!
I miei nemici sono divenuti potenti ed hanno contraffatto l'imagine della mia dottrina, così che i miei prediletti devono vergognarsi dei doni che feci loro.
I miei amici si sono smarriti, è venuta l'ora di rintracciare i perduti.
Con queste parole si levò Zarathustra, non come un angosciato che ha bisogno d'aria, ma come un veggente e un poeta che è colto dall'ispirazione. Meravigliati lo guardarono l'aquila e il serpente: giacchè simile all'aurora si diffondeva la felicità sul suo volto.
Che dunque m'accade, animali miei? – chiese Zarathustra. – Non sono io cangiato? Non m'ha forse invaso la gioia come un uragano?
Stolta è la mia felicità e parlerà da stolta: troppo giovane è ancora – abbiate pazienza con lei!
Ferito son io dalla mia felicità: tutti i sofferenti siano i medici miei! Posso ridiscendere presso gli amici e i nemici! A Zarathustra è concesso di parlar nuovamente, e donare ai suoi cari ciò che ha di più prezioso.
Il mio amore impaziente trabocca come un torrente impetuoso verso oriente e occidente. Dalla taciturna montagna e dalle tempeste del dolore l'anima mia rumoreggia nelle valli.
Troppo a lungo anelai di desiderio e guardai nella lontananza. Troppo a lungo fui soggetto alla solitudine: così disimparai a tacere.
Son divenuto tutto bocca come lo scrosciar d'un ruscello, che scende da l'alte rupi: voglio che la mia eloquenza precipiti giù nelle valli.
E possa il torrente dell'amor mio precipitar fra le vie impraticabili! Come non dovrebbe un fiume trovare infine le vie del mare?
C'è in me anche un lago, solitario, sufficiente a sè stesso; ma il mio torrente d'amore lo trascina in giù –verso il mare!
Ora vado per nuovo cammino, mi viene un nuovo linguaggio: divenni, come tutti quelli che creano, stanco dell'antica favella. Più non vuole il mio spirito percorrere sentieri battuti.
Troppo lenta mi sembra ogni parola: – salto nel tuo carro, o tempesta! E voglio sferzare te pure con la mia malizia!
Simile a un grido di giubilo voglio passar grandi mari, fin che ritrovi le isole beate ove i miei amici dimorano...
E fra loro i miei stessi nemici! Come amo ormai tutti quelli coi quali m'è dato parlare! Anche i miei nemici contribuiscono a rendermi lieto.
E quando voglio montare sul mio corsiero più selvaggio, m'aiuta la lancia più d'ogni altra cosa: sempre essa è pronta ad assecondare il mio piede...
La lancia che avvento contro i nemici! Quanto ringrazio i nemici, di poterla infine agitare!
Troppo forte era la tensione della mia nube: tra le risate delle folgori gettare un rovescio di grandine ne l'abisso.
Allora il mio petto si solleverà, potente e potente soffierà la sua tempesta sulle montagne: così sarò liberato.
In verità, simili a un uragano mi assalgono la libertà e la gioia! Ma i miei nemici devono credere che il maligno infurî sopra le loro teste.
Sì, anche voi avrete spavento, amici, della mia saggezza selvaggia: e forse le fuggirete dinanzi insieme coi miei nemici.
Ah, se sapessi richiamarvi a me con suon di zampogna! Ah, se la mia leonina saggezza sapesse ruggir teneramente! Abbiamo già imparate tante cose insieme!
La mia saggezza selvaggia divenne feconda sui monti solitari; su la nuda roccia partorì il suo nato, il più giovane.
Ora essa corre, pazza, attraverso il duro deserto e cerca e cerca una zolla erbosa – la mia vecchia saggezza selvaggia!
La tenera zolla dei cuori vostri, o amici! – sul vostro amore essa vorrebbe deporre ciò che ha di più caro!
Così parlò Zarathustra.