Zarathustra 29 | DELLA PLEBAGLIA

DELLA PLEBAGLIA

La vita è una sorgente di gioia; ma le fonti ove attinge anche la plebe divengono attossicate.

Io amo tutto ciò ch'è nitido; non so tollerare le bocche ghignanti e la sete degli impuri.

Essi gettarono lo sguardo nella profondità del pozzo; il loro sorriso ripugnante si rispecchia ora a me dal fondo del pozzo.

Hanno avvelenata l'acqua pura con la loro concupiscenza: e quando diedero il nome di gioia ai loro luridi sogni, attossicarono anche le parole.

La fiamma si ritrae indignata quando pongono sul fuoco il loro viscido cuore; lo stesso spirito gorgoglia e fuma quando la plebe s'appressa al fuoco.

Dolciastro e appassito diventa il frutto nelle loro mani: malfermo e disseccato diventa l'albero quando lo guardano.

E parecchi non s'allontanarono dalla virtù che per allontanarsi dalla plebaglia: non volevano divider con essa le fonti, il frutto e la fiamma.

E parecchi se n'andarono nel deserto e soffersero la sete insieme con le belve, per non sedere intorno alla cisterna coi sudici conduttori di cammelli.

E più d'uno che giungeva come sterminatore, e come la grandine per i campi ubertosi, voleva soltanto porre il suo piede sulla bocca della plebe e soffocarne così la voce.

E non è punto questo il boccone che mi fu più duro ingoiare, sapere che la virtù ha bisogno di inimicizia, di morte, di tormentose croci...

Mai io chiesi a me stesso un giorno, e quasi soffocai per la mia domanda: come? anche la vita ha bisogno della plebe?

Son necessarie le fonti avvelenate, i fuochi puzzolenti, i lividi sogni, e i vermi nel pane della vita?

Non il mio odio, ma la mia nausea divorano la mia vita! Ahimè, fui spesso stanco dell'ingegno, quando trovai spiritosa anche la plebe!

E volsi le spalle ai dominatori quando vidi cosa chiamano oggi dominare: patteggiare e mercanteggiar il potere con la plebe!

Dimorai tra popoli di altro linguaggio, con orecchie chiuse: affinchè mi rimanesse estraneo il linguaggio con cui patteggiavano e mercanteggiavano per il potere.

E turandomi il naso riandai indispettito il passato e il presente: in verità, l'uno e l'altro odorano di plebe che scrive!

Simile ad uno storpio che sia cieco e sordo e muto così vissi a lungo per non dover viver con la plebe che domina, che scrive, che gode.

Faticosamente e guardingo il mio spirito salì i gradini; l'elemosina del godimento era il suo ristoro; nell'appoggiarsi al bastone trascorre la vita del cieco.

Che mi successe? In qual modo mi liberai dalla nausea? Come ringiovanii il mio sguardo? Come raggiunsi a volo l'altezza, là dove al fonte più non siede la plebe?

Forse la mia stessa nausea m'ha creato le ali e le forze presaghe di nuove sorgenti? In verità nella zona più alta dovetti volare per ritrovar la sorgente della gioia!

Oh, l'ho trovata, fratelli! Qui nell'altezza maggiore, scorre per me il fonte della gioia! Ed esiste una vita nella quale la plebe non beve alla fonte!

Quasi troppo presto per me tu scorri, fonte di gioia! E ben spesso tu vuoti la coppa di nuovo, mentre vuoi riempirla!

E ancora devo imparare ad appressarmi a te con nuovo riserbo: con troppo impeto il mio cuore ti corre incontro...

Il mio cuore sul quale arde la mia estate breve, calda, melanconica e più che beata: come anela il mio cuore estivo alla tua frescura!

Scomparsa è la trepida mestizia della mia primavera! Scomparsa la cattiveria dei miei fiocchi di neve nel giugno! Divenni tutto estate e meriggio d'estate!

Un'estate sull'altezza più eccelsa, con fonti silenziose, fresche, beate: oh, venite, amici miei, perchè ancor più beato divenga il silenzio!

Giacchè questa è l'altezza nostra e la nostra patria: inaccessibili siamo noi qui agl'impuri e alla sete loro.

Gettate i vostri sguardi puri nella fonte della mia gioia, amici! Come potrebbe intorbidarsene? Vi deve sorridere con la sua purezza.

Sull'albero dell'avvenire edifichiamo il nostro nido; le aquile devono portare a noi solitari il cibo nel loro becco!

In verità non un cibo che possano mangiar anche gli impuri! Crederebbero di mangiar fuoco e si brucerebbero anche la bocca!

In verità non abbiam qui dimore destinate agl'impuri! Ma, caverna di ghiaccio, sembrerebbe ai loro corpi e ai loro spiriti la nostra felicità!

E noi vogliam vivere su di essi come venti gagliardi, vicini alle aquile, vicini alla neve, al sole vicino: così vivono i venti gagliardi.

E come il vento voglio un giorno soffiare tra loro, e col mio spirito troncar loro il respiro: questo vuole il mio avvenire.

In verità è Zarathustra un vento impetuoso per tutto ciò ch'è nel basso; e questo è il consiglio ch'egli dà ai suoi amici e a tutto ciò che vomita e sputa: «badate a non sputar contro vento!»

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli