Zarathustra 64 | COLLOQUIO COI RE

COLLOQUIO COI RE

1.

Non era ancora passata un'ora dacchè Zarathustra s'era messo in cammino tra le sue montagne e i suoi boschi quando vide, ad un tratto, un singolare corteo. Proprio sulla via che voleva prendere s'avanzano due re, ornati di corone e di cinture di porpora, variopinti come aironi: spingevano innanzi a loro un asino carico. «Che vogliono questi re nel mio regno?» disse in cuor suo Zarathustra, e in fretta egli si nascose dietro un cespuglio. Ma quando i re gli furono vicino egli disse a mezza voce, come qualcuno che parli a sè: «Cosa singolare, singolare! Come s'accorda ciò? Vedo due re – e soltanto un asino!».

Allora i due re si fermarono, sorrisero e guardaron dalla parte dove veniva la voce, poi si guardarono in faccia. «Si pensano tali cose anche da noi, disse il re che stava a destra, ma non si esprimono».

Il re di sinistra alzò tuttavia le spalle e rispose: «Deve essere un custode di capre, oppur un eremita che visse troppo tra le roccie e gli alberi, giacchè la solitudine guasta essa pure i buoni costumi».

«I buoni costumi? riprese l'altro re con un tono offeso ed amaro: – a chi dunque vogliamo sfuggire se non ai «buoni costumi», alla nostra «buona società?»

Preferirei, in verità, vivere tra gli eremiti e i custodi di capre anzichè con la nostra plebe dorata e falsa – sebbene si chiami la «buona società»,

– sebbene si chiami, «nobile». Ma là tutto è falso e putrido; anzitutto il sangue, grazie a vecchie e cattive malattie ed a più cattivi medici.

Colui che preferisco ed è oggi il migliore, è il contadino sano; egli è rozzo, scaltro, ostinato, e resistente: questa è oggi la specie più nobile.

Il contadino è oggi il migliore: e la razza dei contadini dovrebbe dominare! ma ora è il regno della plebe – non mi lascio ingannare intorno a ciò. Plebe significa mescolanza.

Mescolanza di plebe: tutto alla rinfusa, il santo e il furfante, il cavaliere e l'ebreo e tutti gli animali dell'arca di Noè.

I buoni costumi! Ogni cosa è da noi putrida e falsa. Nessuno sa più venerare; è precisamente a questo che noi vogliamo sfuggire. Sono cani importuni che indorano le foglie di palma.

Il disgusto mi soffoca, perchè noi, re, divenimmo noi stessi falsi, mascherati con l'antico e sbiadito fasto degli avi; medaglie da mostra per i più stolti, i più astuti, e per tutti coloro che fan oggi commercio della potenza!

Noi siamo i primi e bisogna che lo sembriamo: siamo stanchi e disgustati infine di questo inganno.

È dalla plebe che siamo fuggiti, da tutti questi strilloni e mosche livide per lo scrivere, dal lezzo dei mercanti, dagli spasimi e dall'ambizione, dal cattivo alito – uh, vivere tra la plebe,

– uh, rappresentare i primi della plebe! Ah, schifo! Schifo! Schifo! Che importa ancora di noi, i re?»

«La tua vecchia malattia t'assale, disse allora il re di sinistra, ti assale il disgusto, mio povero fratello. Ma tu sai bene che qualcuno ci ascolta».

Subito, Zarathustra che aveva spalancati gli occhi e tese le orecchie a quei discorsi si levò dal suo giaciglio, si diresse verso i re e cominciò:

«Chi vi ascolta, chi si compiace d'ascoltarvi, voi, i re, quegli si chiama Zarathustra.

Io son Zarathustra che disse un giorno: che m'importa ormai dei re? Perdonatemi se mi rallegrai quando vi diceste l'un l'altro: «Che importa ancora dei re?»

Ma voi siete qui nel mio regno e sotto il mio dominio: che potete cercare nel mio regno? Ma forse lungo la via voi avete trovato ciò che io cerco: io cerco l'uomo superiore».

Quando i re intesero ciò si batterono il petto e dissero concordi: «Noi siamo riconosciuti!»

Con il brando di queste parole tu squarciasti le tenebre dei nostri cuori. Scopristi la nostra miseria, poichè, vedi?, noi siamo in cammino per trovare l'uomo superiore: l'uomo che ci è superiore sebbene noi siamo re. È a lui che conduciamo quest'asino. Giacchè l'uomo più alto deve essere anche sulla terra il più alto signore.

Non v'è peggior calamità, in tutti gli umani destini, che quando i più potenti della terra non sono al medesimo tempo i primi uomini. È allora che tutto diventa falso e mostruoso.

E quando poi sono gli ultimi e piuttosto bruti che uomini allora la plebe acquista pregio e la virtù plebea esclama infine: «Ecco, io sola sono virtù!» –

Che udii?, rispose Zarathustra; quanta saggezza presso i re! Io sono rapito e, in verità, già desidero far versi su questo argomento: –

– i miei versi non saranno forse adatti per tutte le orecchie. Da molto tempo disimparai ogni riserbo per le orecchie lunghe. Ma facciamoci animo! Su, via!

(Ma qui accadde che anche l'asino volle dir la sua: e pronunciò chiaramente ma con malizia I–A).

Una volta – io credo nell'anno uno –

Parlò la Sibilla, ebbra ma non di vino:

«Ahimè, ora questo va male!

«Rovina! Rovina! Il mondo non cadde mai così basso!

«Roma divenne meretrice e un postribolo.

«Il Cesare di Roma divenne bestia, Dio stesso divenne ebreo!»

2.

I re si compiacquero molto di questi versi di Zarathustra; ma il re di destra disse: «Oh, Zarathustra, come abbiam fatto bene a metterci in cammino per vederti! Giacchè i tuoi nemici ci mostrarono l'immagine tua nello specchio: tu apparivi in quello con la maschera del demonio dal riso sarcastico: di modo che avemmo paura di te.

Ma che importa! I tuoi insegnamenti ci pungevano sempre le orecchie ed il cuore. Allora finimmo per dire: che importa il suo volto!

Bisogna che lo ascoltiamo, quegli che insegna': «Voi dovete amare la pace come un mezzo di nuova guerra, e la pace breve più che la lunga!»

Nessuno ancora disse mai così ardite parole: «Che cosa è bene? Essere valorosi è bene. È la buona guerra che santifica ogni cosa».

Oh, Zarathustra, a tali parole il sangue dei nostri padri si rimescolò: era come un sermone della primavera rivolto a vecchie botti di vino.

Quando s'incrociavano i brandi, simili a serpenti chiazzati di sangue, allora i nostri padri si sentivano avvinti alla vita; il sole della pace sembrava loro torpido e scialbo, e la lunga tregua li faceva vergognosi.

Come sospiravano i nostri padri quando vedevano ai muri brandi lucenti ed asciutti! Come quelli, essi avevan sete di guerra. Una spada vuole infatti ber sangue e scintilla dal desiderio». –

Mentre i re parlavano così, animati della felicità dei padri loro, Zarathustra ebbe il desiderio di beffarsi del loro ardore: giacchè erano certamente re molto pacifici, quelli che aveva dinanzi, dai volti fini e vecchi. Ma si dominò. «Ebbene! In cammino! diss'egli; eccovi sulla via, lassù è la caverna di Zarathustra; e questo giorno deve avere una lunga sera! Ma adesso un grido di aiuto mi chiama lungi da voi.

La mia caverna sarà onorata se vi prendono posto dei re per attendere: ma dovrete, in verità, attendere a lungo!... Ma che importa? Dove si impara meglio ad attendere, oggi, che nelle corti? E di tutte le virtù dei re, la sola che sia rimasta non si chiama oggi: saper attendere?»

Così, parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli