Zarathustra 69 | IL MENDICANTE VOLONTARIO

IL MENDICANTE VOLONTARIO

Quando Zarathustra ebbe lasciato il più brutto fra gli uomini si sentì rabbrividire nella solitudine, giacchè molti pensieri freddi e solitari passarono in lui, di modo che le sue stesse membra ebbero l'impressione del freddo. Ma, procedendo sempre, in salita e in discesa, passando accanto a verdi prati, o ad aride pianure che erano forse state in altri tempi letto di impetuosi torrenti, il suo cuore ne ricevette conforto e calore.

«Che m'accadde? – egli si chiese, – qualcosa di caldo e di vivido mi ristora e dev'essere vicino a me.

Già sono meno solo: compagni sconosciuti e fratelli mi s'aggirano intorno, il loro caldo respiro commuove l'anima mia».

Ma guardandosi intorno per cercare i consolatori della sua solitudine: ecco, vide delle vacche riunite presso un'altura; il loro calore e la loro vicinanza l'avevan riscaldato. Quelle vacche sembravano seguir però con attenzione un discorso, e non badavano a colui che si avanzava.

Ma quando Zarathustra fu giunto presso di loro, egli udì chiaramente levarsi una voce umana; ed esse avevano visibilmente la testa volta al loro interlocutore.

Allora Zarathustra salì in fretta quell'altura e sbandò gli animali, giacchè temeva fosse avvenuta là qualche sciagura che la compassione delle vacche avrebbe difficilmente saputo soccorrere. Aveva però sbagliato; poichè, ecco, un uomo sedeva per terra e sembrava voler convincer le bestie di non temer di lui, uomo pacifico, dolce predicatore delle montagne, dagli occhi del quale traspariva la stessa bontà. «Che cerchi tu qui?», gridò con stupore Zarathustra.

«Che cerco? rispose. – La stessa cosa che cerchi tu, turbatore della pace! cioè la felicità sulla terra.

Ecco perchè vorrei che le vacche m'insegnassero la loro saggezza! giacchè, sappilo, è tutta la mattina che parlo ad esse, e stavano per rispondermi: perchè le disturbi?

Se noi non torniamo indietro e non diventiamo come le vacche non possiamo entrare nel regno dei cieli. Giacchè v'è una cosa che dovremmo imparar da loro il ruminare.

E, in verità, se l'uomo conquistasse anche l'intero mondo e non imparasse quell'unica cosa, il ruminare: a che gli gioverebbe? Giacchè non si libererebbe dalla sua afflizione,

– dalla sua grande afflizione che si chiama oggi disgusto: e chi dunque non ha oggi il cuore pien di disgusto, pieni gli occhi e la bocca? Anche tu! anche tu! Ma guarda invece le vacche!».

Così parlò il predicatore della montagna, volgendo lo sguardo a Zarathustra – giacchè fin allora gli occhi suoi eran rimasti fissi, con amore, alle vacche: – ma subito il suo volto si trasformò. «Chi è colui al quale io parlo? gridò spaventato alzandosi ratto da terra.

«Questo è l'uomo senza disgusto, Zarathustra, lui stesso, quegli che superò il gran disgusto; è l'occhio, è la bocca, è il cuore di Zarathustra medesimo».

E parlando così egli baciava la mano di colui al quale si rivolgeva, e traboccavano i suoi occhi di lagrime, e tutto si comportava come se un dono o un prezioso tesoro gli fosse d'un tratto caduto dal cielo. Ma le vacche guardavan stupite quanto accadeva.

«Non parlare di me, uomo strano ed amabile!» Zarathustra rispose sottraendosi alle sue tenerezze; «parlami prima di te! Non sei tu il mendicante volontario, che gettò una volta lungi da sè una grande ricchezza, –

– che si vergognò della sua ricchezza e dei ricchi, e fuggì tra i poveri, per donar loro la sua abbondanza e il suo cuore? Ma essi non l'accolsero...».

«Essi non mi accolsero, disse il mendicante volontario, tu lo sai pure. Ecco perchè andai infine presso le bestie e presso le vacche».

«Questo imparasti, – interruppe Zarathustra, – quanto è più difficile donar bene che ricevere bene; e che donar bene è un'arte, e la suprema e più ingegnosa arte della bontà».

«Oggi in modo speciale, rispose il mendicante volontario, oggi in cui tutto ciò che è basso si è ribellato, sollevato, e fatto presuntuoso a suo modo: proprio come la plebe.

Giacchè, lo sai, giunse l'ora per la grande insurrezione della plebe e degli schiavi, l'insurrezione funesta, lunga, lenta: essa cresce sempre di più.

Oggi si ribellano i piccoli contro tutto ciò che è beneficio oppure elemosina; che i ricchi stiano in guardia!

Guai a colui che, simile ad una bottiglia panciuta, gocciola da un collo troppo stretto: – a tali bottiglie oggi s’ama rompere il collo.

L'avida cupidigia, l'invidia biliosa, l'iraconda sete di vendetta, la superbia della plebe: tutto ciò mi spruzzò il volto. Non è più vero che i poveri siano felici. E il regno dei cieli è presso le vacche».

«E perchè non è presso i ricchi? – domandò Zarathustra, per tentarlo mentre allontanava le vacche che andavan fiutando familiarmente quell'apostolo della pace.

«Perchè mi tenti? – rispose costui – tu lo sai meglio di me. Che cosa dunque mi spinse verso i più poveri, o Zarathustra? Non era forse il disgusto per i nostri ricchi?

– di quei galeotti della ricchezza, che con l'occhio freddo e con loschi pensieri, sanno trar vantaggio dalle peggiori immondizie, galeotti che appestano il cielo –

– di quel volgo dorato e falso, gli avi del quale furon borsaioli, avvoltoi, raccoglitori di cenci, e le cui madri erano procaci, voluttuose, volubili: – giacchè non differivano dalle meretrici –

– plebe in alto, plebe in basso. Che importano oggi i «poveri» e i «ricchi!» Disimparai questa distinzione, e fuggii lontano, ognor più lontano, fino a che giunsi presso a queste vacche».

Così parlò quel pacifico, e sudava, e ansava per le proprie parole: di modo che nuovamente stupiron le vacche. Ma Zarathustra, mentre costui parlava così duramente, lo guardava sempre in volto, con un sorriso e scuoteva silenziosamente la testa.

«Tu ti fai violenza, o predicatore della montagna, adoperando così aspre parole. La tua bocca e i tuoi occhi non son nati per tali durezze.

E neppure il tuo stomaco, a quanto mi sembra; giacchè non è fatto per ciò che è collera ed odio e furore. Il tuo stomaco ha bisogno di alimenti più dolci: tu non sei un macellaio.

Mi sembri piuttosto un erbivoro e un vegetariano. Forse tu macini il grano. Ma di certo tu sei avverso ai piaceri carnali e tu ami il miele.

«M'indovinasti davvero – rispose il mendicante volontario, con il cuore sollevato; amo il miele e macino il grano giacchè cercai ciò che richiede al palato e rende l'alito puro – anche ciò che richiede molto tempo, un lavoro che occupi per tutta la giornata i pigri e gli oziosi.

Ma queste vacche avanzarono tutti gli altri: esse inventarono il ruminare e lo stendersi al sole. Si astengono pure da tutti i grandi pensieri che opprimono il cuore».

«Ebbene! disse Zarathustra – dovresti anche vedere i miei animali, l'aquila mia ed il mio serpente, – non v'è il loro pari sopra la terra.

Guarda, ecco il cammino che conduce alla mia caverna: sii ospite mio questa notte. E parla con i miei animali della felicità degli animali, – fino a che rientri io stesso. Giacchè ora un grido d'aiuto mi chiama in fretta lungi da te. Troverai pure nella mia dimora miele nuovo, miele freschissimo ed aureo: mangiane!

Ma ora prendi rapidamente congedo dalle tue vacche, uomo bizzarro e grazioso! Sebbene ciò ti rincresca. Giacchè esse ti sono le tue più sincere amiche e maestre!».

«Ad eccezione di uno che amo anche di più» rispose il mendicante volontario: «Tu stesso sei buono, o Zarathustra, e miglior d'ogni vacca!».

«Su, vattene via, adulatore ostinato!» gridò Zarathustra, con cattiveria, «perchè mi vuoi corrompere con la tua lode e con il miele della tua adulazione?».

«Via, vattene lungi da me!» gridò ancora una volta alzando il bastone sul mendicante volontario: ma questi fuggì via di corsa.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli