Zarathustra 80 | IL CANTO D'EBBREZZA

IL CANTO D'EBBREZZA

1.

Ma frattanto erano tutti usciti, l'un dietro all'altro, all'aperto, nella notte fresca e pensosa; e Zarathustra stesso conduceva per mano l'uomo più brutto, per mostrargli il suo mondo notturno, la gran luna rotonda e le cascate argentee presso la sua caverna. Si arrestarono infine, l'un dopo l'altro, tutti quegli uomini vecchi, ma allegri, col cuore consolato e gagliardo, meravigliati di sentirsi tanto bene sulla terra; la quiete della notte però s'appressava sempre più ai loro cuori. E di nuovo Zarathustra pensò tra sè: «Quanto mi piacciono adesso questi uomini superiori!» – ma non lo disse, poi che rispettava la loro felicità e il loro silenzio.

Ma allora accadde ciò che in quel lungo giorno di meraviglia fu più stupefacente: l'uomo più brutto cominciò di nuovo, per l'ultima volta, a gorgogliare e a soffiare, e quando potè parlare, uscì dalla sua bocca una domanda, precisa e buona e profonda, la quale commosse il cuore di tutti coloro che l'ascoltavano.

«Amici miei qui riuniti – disse l'uomo più brutto – che vi sembra? In grazia di questa giornata – è la prima della mia vita che io sono contento di vivere.

E non mi basta avere testimoniato questo! Vale la pena di vivere sulla terra: un giorno, una festa insieme con Zarathustra, m'insegnò ad amare la terra.

«È questo – la vita?» dirò alla morte. «Ebbene! ancora una volta».

Amici miei, che vi pare? Non volete voi come me dire alla morte: «È questo la vita? ebbene, per amore di Zarathustra, ancora una volta!...».

Così parlò l'uomo più brutto, ma non era lungi la mezzanotte. E che pensate che allora accadesse? Tosto che gli uomini superiori udirono la sua domanda ebbero d'un tratto coscienza del loro cangiamento e della loro guarigione e compresero chi fosse colui che l'aveva loro procurata: si slanciarono allora verso Zarathustra, pieni di riconoscenza, di rispetto, d'amore, baciandogli la mano secondo l'indole propria: di modo che ridevano alcuni, ed altri piangevano. Ma il vecchio mago danzava per la gioia; e se, come credono alcuni, era allora ebbro di vino dolce, era certamente ancora più ebbro di dolce vita, ed aveva certamente dimenticata la sua stanchezza.

Ve ne sono pure alcuni i quali raccontano che l'asino allora si mettesse a danzare; giacchè non invano l'uomo più brutto gli aveva dato da bere del vino. Comunque sia ed anche ammesso che l'asino non avesse, quella sera, danzato, avvennero però prodigi anche più grandi e più strani di quel che non sia la danza dell'asino. In breve, come suona il detto di Zarathustra: «Che importa?».

2.

Ma Zarathustra, quando avvenne ciò con l'uomo più brutto, era come ebbro, si spegneva il suo sguardo, balbettava la sua lingua, e i suoi piedi oscillavano. E chi potrebbe dire quali fossero allora i pensieri che s'agitavano nell'anima di Zarathustra? Ma visibilmente arretrava, il suo spirito, e poi volava innanzi verso lontananze remote e si trovava su «un alto giogo (come sta scritto) tra due mari,

– tra passato e avvenire come gravida nube». Ma a poco a poco, mentre lo tenevan tra le braccia gli uomini superiori, ritornava in sè e protendeva le mani per moderare l'impeto dei suoi ammiratori e calmare i preoccupati; non parlava. Ma ad un tratto egli volse la testa giacchè gli sembrava d'aver udito qualcosa, – si pose allora il dito sulla bocca e disse: «Venite!».

E d'un subito si fece silenzio e mistero intorno; ma dal basso giunse lentamente il suono d'una campana. Zarathustra tese l'orecchio, come gli uomini superiori, poi una seconda volta si pose il dito su la bocca e disse di nuovo: «Venite! Venite! È quasi la mezzanotte!» – e la sua voce s'era cangiata. Ma non si muoveva dal posto: vi fu allora ancora più grande mistero; e tutto ascoltava, anche l'asino, gli animali di Zarathustra, l'aquila e il serpente, e la stessa caverna di Zarathustra e la gran luna fredda, e la notte stessa. Ma Zarathustra si pose per la terza volta il dito su la bocca e disse:

Venite! Venite! Venite! Mettiamoci adesso in cammino! È l'ora: andiamo nella notte!

3.

O uomini superiori, già viene la mezzanotte: voglio dunque dirvi qualcosa all'orecchio, come a me dice quella vecchia campana, –

– così misteriosa, terribile, profonda, come la dice a me quella vecchia campana di mezzanotte, che ha vissuto più a lungo di un uomo:

– che contò già i dolorosi battiti del cuore paterno – ah! ah! come sospira! come ride nel sogno! la vecchia mezzanotte, profonda, profonda!

Silenzio! Silenzio! Molte cose si sentono che di giorno non si fanno sentire; ma adesso che l'aria è pura, e tacque anche il fremito dei vostri cuori,

– ora essa parla, si fa udire, s'insinua nelle anime notturne deste troppo a lungo! Ah! ah! come sospira! Come ride nel sogno!

– non senti tu come segretamente ti parla, con terrore e cordiale, la vecchia mezzanotte, profonda, profonda? O uomo, ascolta!

4.

Ahimè! Ove fuggì il tempo? Non caddi nel pozzo profondo? Dorme il mondo.

Ah! Ah! Il cane urla, risplende la luna. Preferisco morire, morire anzi che dirvi ciò che ora pensa il mio cuore di mezzanotte.

Sono già morto. Tutto è finito. Ragno, perchè vai tessendo intorno a me la tua rete? Vuoi del sangue? Ah! Ah! La rugiada cade, l'ora giunge –

– l'ora in cui mi sento gelare, l'ora che domanda e domanda e domanda: «chi ha per far ciò cuore abbastanza? – chi vuol essere il signor della terra? Chi vuol dire: così dovete scorrere correnti grandi e piccine?»

– l'ora s'appressa: o uomo, uomo superiore, ascolta! Questo discorso è per le orecchie sottili, per le tue orecchie – che cosa dice la mezzanotte profonda?

5.

Mi sento portato laggiù, danza l'anima mia. Opera giornaliera! Opera giornaliera! Chi deve essere il signore della terra?

La luna è fresca, tace il vento. Ah! Ah! Volaste già alto abbastanza? Danzaste: ma non è un'ala la gamba.

Buoni danzatori, ora passò tutta la gioia. Il vino si cangiò in lievito, tutti i calici divennero teneri e le tombe sussurrarono.

Voi non volaste alto abbastanza: ora le tombe sussurrano: «salvate dunque i morti! Perchè è così lunga la notte? Non ci rende forse ebbri la luna?».

O uomini superiori, salvate dunque le tombe, destate i cadaveri! Ahimè, perchè il verme rode ancora? L'ora s'appressa, l'ora s'appressa, –

– la campana brontola, il cuore freme ancora, rode ancora il tarlo, il tarlo del cuore. Ah! Ah! Il mondo è profondo.

6.

Dolce lyra! Dolce lyra! Amo il suono delle tue corde, l'ebbro tuo suono di rospo! da quali tempi remoti, e come da lungi, mi viene il tuo suono, lontano, dagli stagni dell'amore!

Vecchia campana! Dolce lyra! Ogni angoscia ti lacerò il cuore, l'angoscia del padre, degli avi, dei primi parenti; la tua parola divenne matura, –

– matura come l'autunno dorato e il meriggio, come il tuo cuore di solitario – ora tu parli: il mondo stesso divenne maturo, l'uva abbronzata.

– ora vuole morire, morire di gioia. Uomini superiori, non sentite? Misterioso si sprigiona un odore,

– un profumo e un odore d'eternità, un odore di vino dorato, bronzeo, un odore soave di rose, di antica felicità, – di ebbra felicità di morire a mezzanotte, felicità che canta: il mondo è profondo e più profondo di quanto il giorno pensasse!

7.

Lasciami! lasciami! son troppo puro per te. Non toccarmi! Il mio mondo non divenne forse perfetto?

La mia pelle è troppo pura per le tue mani. Lasciami, giorno cupo, stupido, afoso! Non è la mezzanotte più chiara?

I più puri debbono essere i signori del mondo, i men conosciuti, le anime della mezzanotte che son più profonde del giorno.

O giorno, tu brancoli presso di me? Tu brancoli presso la mia felicità? Io son ricco per te, e solitario, una sorgente di ricchezza, un tesoro?

O mondo, mi vuoi? Son io mondano per te? Son spirituale, divino per te? Ma, giorno e mondo, voi siete troppo massicci, –

– abbiate le mani più abili, afferrate una felicità più profonda, una più profonda sventura, afferrate un qualsiasi Iddio, ma non afferrate me:

– la mia sventura, la mia felicità è profonda, o strano giorno, eppure io non sono un Dio, nè l'inferno di un Dio: profondo è il suo dolore.

8.

Il dolore di Dio è più profondo, o mondo strano! Afferra il dolore di Dio, ma non afferrarmi! che cosa son io? una lyra soave, piena d'ebbrezza, –

– una lyra della mezzanotte, una campana di rospo che nessuno capisce ma che deve parlare dinanzi ai sordi, uomini superiori. Giacchè voi non mi comprendete!

È finito! È finito! O giovinezza! O meriggio! O pomeriggio! Ora giunge la sera, e la notte, e la mezzanotte – urla il cane e il vento:

– il vento non è forse un cane? Esso guaisce, latra, urla. Ah! Ah! come sospira, come ride, come rantola ed ansa la mezzanotte!

Come parla sobria, l'ebbra poetessa! Superò forse la propria ebbrezza? Prolungò la sua veglia? Di nuovo medita? – rimedita in sogno il proprio dolore, la mezzanotte vecchia e profonda, e ancora di più la sua gioia. Giacchè la gioia, quando già è profondo il dolore, la gioia è ancor più profonda del dolore.

9.

O ceppo di vite! Perchè m'esalti? Non t'ho forse reciso? Io sono crudele, tu sanguini – che vale la lode della mia crudeltà?

«Tutto ciò che divenne perfetto, tutto ciò che maturò – vuole morire!» Tu parli così. Sia benedetto, sia benedetto il coltello del vendemmiatore! Ma tutto ciò che non è maturo vuol vivere: ahimè!

Dice il dolore: «Passa oltre! fuggi, o dolente!» Ma tutto ciò che soffre vuol vivere per maturare, per divenire giocondo e pieno di desideri, –

– pieno di desideri di ciò ch'è più lontano, più alto, più chiaro. «Io voglio eredi, – così parla tutto ciò che soffre – voglio figli, non voglio me».

Ma la gioia non vuol nè figli, nè eredi, – la gioia vuole sè stessa, vuole l'eternità, il ritorno, vuole che tutto sia eternamente eguale a sè stessa.

Dice il dolore: «Spezzati, sanguina, cuore! Cammina gamba, ala vola! Lontano, in alto, dolore!» Ebbene! Suvvia! O vecchio cuor mio; dice il dolore: «passa oltre».

10.

Voi, uomini superiori, che vi pare? Son io un indovino? Un sognatore? Un ebbro? Un interprete di sogni? Una campana di mezzanotte?

Una goccia di rugiada? Un vapore e un profumo d'eternità? Non lo udite? Non l'odorate? Or ora il mio mondo divenne perfetto, la mezzanotte è anche il meriggio, –

il dolore è anche una gioia, la maledizione è anche una benedizione, la notte è anche sole – allontanatevi se no imparerete: che un savio è pure folle.

Consentiste mai alla gioia? Oh, amici, consentiste allora a tutte le pene. Tutte le cose sono concatenate insieme, congiunte dall'amore, –

– voleste mai che una volta venisse due volte, diceste mai «tu mi piaci, gioia! momento, istante!» voleste allora che tutto tornasse!

Tutto di nuovo, tutto eternamente, tutto concatenato, annodato insieme, congiunto d'amore, così voi amaste il mondo, –

– voi eterni, e l'amate in eterno e per sempre: e voi dite pure al dolore: passa, ma torna di nuovo: giacchè ogni gioia vuole l'Eternità!

11.

Ogni gioia vuol l'eternità di tutte le cose, vuole miele, lievito, ebbra mezzanotte; vuole tombe, consolazione di lagrime versate sopra le tombe, vuole tramonti dorati, – che cosa non vuole la gioia! Essa è più assetata, sincera, avida, terribile e segreta d'ogni dolore; essa vuole sè stessa, morde sè stessa; lotta in essa la volontà dell'anello, –

– essa vuole amore, essa vuole odio; è più che ricca, e dona e getta lontano, e mendica perchè qualcuno la voglia prendere, e ringrazia colui che la prende, e le piacerebbe d'essere odiata, –

è tanto ricca, la gioia, che ha sete di dolore, d'inferno, d'odio, di vergogna, di ciò che è storto, del mondo, – giacchè questo mondo, voi lo conoscete!

Voi, uomini superiori, è di voi ch'essa ha sete; la gioia sfrenata, felice – e del vostro dolore, o voi che falliste! Ogni gioia eterna langue presso ciò che non riescì.

Giacchè ogni gioia vuole sè stessa, e perciò vuole pure la pena! O felicità! O dolore! O cuore spezzato! Uomini superiori, imparatelo dunque, la gioia vuole l'eternità,

– la gioia vuole l'eternità, d'ogni cosa, vuole profonda, profonda eternità!

12.

Imparaste ora la mia canzone? Indovinaste ciò che vuol dire? Ebbene! – Su, via! Voi, uomini superiori, cantate ora il mio rondò!

Cantatemi voi stessi il canto che s'intitola «Ancora una volta» e il cui senso è «per tutta l'eternità» – cantate, o uomini superiori, il rondò di Zarathustra:

O uomo! Bada!

Che dice la profonda mezzanotte?

«Dormii, dormii, –

«Da sonno profondo mi sono destato –

«Il mondo è profondo,

«E più profondo di quanto il dì pensasse.

«Profondo è il suo dolore, –

«La gioia – più profonda ancora del cordoglio:

«Dice il dolore: va' via!

«Ma ogni gioia vuole eternità, –

«– Vuole profonda, profonda Eternità!».

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli