Zarathustra 25 | SULLE ISOLE FELICI

SULLE ISOLE FELICI

I fichi cadono dall'albero; essi sono buoni e dolci; e mentre cadono la lor buccia rosea si fende. Io sono un vento del nord per i fichi maturi.

Così, come fichi, a voi giungano le mie dottrine, amici: ora gustatene il succo e la polpa soave! È autunno d'intorno, e puro il cielo, e pomeriggio.

Guardate quanta abbondanza ne circonda! E in mezzo all'abbondanza è bello spingere lo sguardo verso mari lontani.

Si diceva una volta: Dio, guardando i mari lontani; ora v'insegnai a dire: Superuomo.

Dio è una congettura; ma io voglio che la vostra congettura non vada oltre la vostra volontà creatrice.

Potreste voi creare un Dio? E allora non parlate di dèi! Ma potreste invece creare il superuomo.

Forse non voi stessi, fratelli! Ma potreste trasformarvi in padri e in avi del superuomo: e questa sia la vostra miglior creazione!

Dio è un'ipotesi: ma io voglio che la vostra ipotesi non trascenda la vostra facoltà di pensare.

Potreste voi pensare un Dio? – Ma significhi questo per voi, la volontà del vero, perchè tutto sia trasformato in ciò che si può umanamente pensare, vedere, sentire! Dovete cessar d'obbedire alla vostra immaginazione! E ciò che chiamaste mondo, dev'essere solo creato da voi: esso deve divenire la vostra ragione, la vostra immaginazione, la vostra volontà, l'amor vostro! E sia per la vostra felicità, di voi che cercate la conoscenza.

E come vorreste sopportare la vita, senza una tale speranza, voi che cercate la conoscenza? Non dovete permettere che l'incomprensibile e nemmeno l'irragionevole siano innati in voi.

Ma per manifestarvi anch'io intero il mio cuore, amici: se esistessero gli dèi, come potrei io sopportare di non essere un Dio? Dunque gli dèi non esistono.

Bene io trassi la conseguenza; ma essa trae ora me.

Dio è un'ipotesi: ma chi potrebbe soffrire tutta la pena di quest'ipotesi, senza morire? Dev'essere tolta al creatore la sua fede, e all'aquila il suo spaziare nelle inaccessibili altezze?

Dio è un'idea che rende storto tutto quanto è diritto, e fa girare tutto quello che è stabile. Come? Il tempo non esisterebbe più, e tutto il passato sarebbe menzogna?

Un tale pensiero è vertigine e scompiglio delle ossa umane, che nello stomaco desta la nausea: in verità io chiamo quest'ipotesi il ballo epilettico.

Io la chiamo malvagia e odiosa: questa dottrina dell'uno, dell'assoluto, del sufficiente, dell'immutabile e dell'imperituro! L'imperituro non è che un simbolo! Ed i poeti ingannano molto.

Ma le migliori parabole devon parlare del tempo e del divenire: essere una lode e una giustificazione di tutto ciò che perisce!

Creare – ecco la grande redenzione dai dolori e il conforto della vita. Ma perchè esista il creatore occorrono molte sofferenze e molte trasformazioni.

Sì, molto amaro morire ci deve essere nella vita vostra, o creatori! Sareste così gli assertori e i giustificatori di tutto ciò ch'è caduco.

Perchè lo stesso creatore sia il fanciullo rinato, bisogna ch'egli abbia anche il volere di colei che lo partorisce insieme col dolore del parto.

In verità, feci la mia strada attraverso cento anime e cento culle e cento dolori del parto. Mi son congedato molte volte, e conosco le ultime ore che spezzano il cuore. Ma così impone la mia volontà creatrice, la mia sorte. Oppure, perchè più franco vi parli: appunto questo destino vuole la mia volontà.

Tutti i miei sentimenti soffrono in me e son prigionieri: ma il mio volere giunge sempre liberatore e messaggero di gioia.

Il volere redime: ecco la vera dottrina della volontà e della libertà – è così che Zarathustra v'insegna.

Non voler più, non più valutare e non più creare! Ah, che questa immensa stanchezza mi rimanga sempre lontana! Anche nel conoscere sento solo la gioia della mia volontà che genera e del mio divenire; l'innocenza nella mia conoscenza è perchè essa possiede volontà di generare. Lungi da Dio mi trasse questa volontà; che cosa ci resterebbe da creare se ci fossero gli dèi?

Ma verso l'uomo senza posa mi spinge la mia ardente volontà di creare: così il martello si sente spinto verso il sasso.

Ahimè, o uomini, nel sasso per me dorme un'imagine, l'imagine delle mie imagini! Ah, perchè devo io proprio morire sul più duro, sul più brutto dei sassi?

Ora il mio martello batte crudele contro questa prigione. Dal sasso si staccan le scheggie: che m'importa?

Io voglio finirla: poi che a me venne un'ombra – venne a me di tutte le cose la più leggera e silente!

La bellezza del superuomo giunge a me quale un'ombra. Che m'importa degli dèi?

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli