Zarathustra 16 | DELLE MILLE E UNA META

DELLE MILLE E UNA META

Zarathustra vide molti popoli e molti paesi: scoperse perciò in molti popoli il bene ed il male. Nessuna maggiore potenza trovò Zarathustra che il bene ed il male.

Nessun popolo potrebbe vivere senza sapere, anzitutto, valutare: ma se vuol conservarsi, non deve valutare alla guisa del suo vicino.

Molte cose per un popolo buone, furono per un altro scherno e vergogna: ecco ciò che scopersi. Molte cose trovai, qui dette cattive, e là circondate d'onori regali.

Un vicino non comprese mai l'altro; sempre l'anima sua stupiva della follia e della malvagità del vicino.

Una tavola di beni sta sospesa sopra ogni popolo. Guarda, è la tavola delle sue vittorie; guarda, è la voce della sua volontà di potenza.

È lodevole ciò che gli appare difficile; bene ciò ch'è indispensabile e duro; e ciò che libera dall'estrema miseria, ciò che v'ha di più raro e difficile, – egli lo esalta come santo.

Ciò che lo fa dominare, vincere, splendere, eccitando l'orrore e l'invidia del prossimo: questa è per lui la cosa sublime, la prima, che misura ogni altra e n'è il senso.

In verità, o fratello, quand'avrai conosciuto i bisogni, le terre, il cielo e il vicino d'un popolo: tu ne argomenterai facilmente la legge delle sue vittorie sopra sè stesso, e perchè ascende su quelle scale alla sua speranza.

«Sempre devi essere il primo e gli altri avanzare: nessuno deve amare l'anima tua gelosa fuorchè il tuo amico» – questo faceva fremere l'anima d'un greco; e perciò egli camminava sul sentiero della grandezza.

«Dire la verità e saper maneggiare bene l'arco e la freccia» – sembrava insieme difficile e caro al popolo dal quale ebbi il nome – il nome che m'è insieme difficile e caro.

«Onorare il padre e la madre e obbedir loro sin nella radice dell'anima»: questa tavola di vittoria impose a sè stesso un altro popolo e divenne in tal modo potente ed eterno.

«Conservarsi fedele e per fedeltà donare il sangue e l'onore pur nelle cose difficili e tristi»: insegnando così un altro popolo potè dominare sè stesso, e così dominandosi divenne ricco di grandi speranze.

Gli uomini si diedero, in verità, tutto il bene e tutto il male. In verità se l'appropriarono, ma non lo trovarono, non l'accolsero punto come voce del cielo.

Fu l'uomo ad assegnare un valore alle cose, il senso umano! Perciò si chiama egli «uomo», cioè colui che valuta.

Valutare è creare: uditemi, o voi creatori! Il valutare è per sè steso il tesoro e la gioia di tutte le cose valutate.

Mercè la valutazione esiste il valore: e senza la valutazione il nocciolo dell'esistenza sarebbe vuoto. Ascoltate, o creatori!

Mutabilità di valori – è mutabilità di chi crea. Sempre distrugge chi vuole creare.

Creatori furono dapprima i popoli, e solo molto più tardi gl'individui; in verità l'individuo è la creazione più recente.

I popoli sospesero un tempo sopra di sè una tavola di beni. L'amore che vuol dominare e l'amore che vuole obbedire crearono insieme queste tavole.

Più antico è l'amore del gregge che l'amore del proprio Io: e sin tanto che la buona coscienza si chiamerà gregge, soltanto la coscienza cattiva dirà: Io.

In verità l'Io astuto, egoista, che cerca il suo utile nell'utile di molti: questo non è l'origine, ma il tramonto del gregge.

Furono sempre i ferventi e i creatori che crearono il bene ed il male. Il fuoco dell'amore e il fuoco della collera divampa in nome di tutte le virtù.

Molti paesi vide Zarathustra e molti popoli: niuna maggiore potenza trovò sulla terra Zarathustra, che l'opera di coloro che amano: «bene» e «male» n'è il nome.

Mostruosa, in verità è la potenza della lode e del biasimo. Dite, fratelli, chi potrebbe sconfiggerla? Dite, chi getterà un laccio intorno ai mille colli di questa bestia?

Mille mète vi furono sino ad oggi, perchè vi furono mille popoli. Non manca più che il laccio per i mille colli, manca l'unica mèta. L'umanità non ha ancora una mèta.

Ma ditemi dunque, o fratelli: se a l'umanità manca ancora la mèta; non le manca pure sè stessa?

Così parlò Zarathustra.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli