Zarathustra 73 | LA CENA

LA CENA

In quel punto l'indovino interruppe infatti i saluti di Zarathustra e degli ospiti suoi: si fece innanzi come qualcuno che non ha tempo da perdere, afferrò la mano di Zarathustra e gridò: «Ma Zarathustra!

Una cosa è più necessaria dell'altra, tu parli così: ebbene! V'è adesso una cosa che m'abbisogna più di tutte le altre.

Una parola al momento opportuno: non m'invitasti tu alla tua cena? E vi sono qui molti che fecero lungo cammino. Tu non ci vorrai forse nutrire di sole parole?

Poi troppo spesso accennaste al gelare, all'annegare, al soffocare e ad altre miserie del corpo, ma nessuno pensò alla mia miseria; cioè il morir di fame».

(Così parlò l'indovino; ma quando gli animali di Zarathustra intesero tali parole, fuggirono spaventati. Giacchè s'accorsero che tutto ciò che avevan portato a casa quel giorno, non bastava a sfamare il solo indovino).

«Consapevole del pericolo di morir di sete – proseguì l'indovino – e sebbene io senta qui il gorgogliare dell'acqua, continuo e copioso come la parola della sapienza: io – voglio del vino!

Tutti non sono come Zarathustra, bevitori d'acqua. L'acqua non conviene a chi è stanco e avvizzito; per noi ci vuol vino – che solo può far guarire e ridare il vigore!».

E allora accadde che mentre costui chiedeva il vino, il re di sinistra, il silenzioso, prendesse egli pur la parola. «Noi ci occupammo del vino, disse, me e mio fratello il re di destra; noi abbiamo vino abbastanza – ne caricammo un somaro. Sicchè non ci manca che il pane».

«Pane? replicò Zarathustra ridendo. È appunto del pane che mancano i solitari. Ma l'uomo non vive di solo pane, bensì anche di carne di buoni agnelli, ed io ne ho due:

– bisogna scannarli subito e prepararli con droghe e con salvia, perchè così piacciono a me. E noi non manchiamo neppure di radici e di frutta che bastano ai ghiotti; non di noci od altri enigmi da rompere.

Faremo dunque in breve un'ottima cena. Ma chi vuole mangiare con noi deve por mano ad apparecchiare, ed anche i re. In casa di Zarathustra anche un re può infatti essere cuoco».

La proposta fu di buon grado accettata da tutti gli ospiti; solo il mendicante volontario fece qualche obiezione per la carne, il vino e le droghe.

«Sentite questo ghiottone di Zarathustra! – disse scherzoso; – si va nelle caverne e sulle alte montagne per fare una simile cena?

Ora, in verità, comprendo ciò che c'insegnò un giorno: «Sia benedetta la piccola povertà!» e perchè egli vuol sopprimere i mendicanti.

«Sta allegro, gli rispose Zarathustra, come io lo sono. Conserva le tue abitudini, uomo eccellente, macina il tuo grano, bevi la tua acqua, loda la tua cucina, purchè essa ti conservi di buon umore!

Io sono legge soltanto per i miei, non sono legge per tutti. Ma colui che è dei miei deve possedere ossatura robusta e piede leggero, –

– essere allegro nella guerra e nei conviti: non già un accigliato, o un sognatore, pronto a le più difficili cose come a una festa, robusto e sano.

Il meglio appartiene ai miei ed a me, e se a noi non ci è dato, noi lo prendiamo: – il nutrimento migliore, il cielo più puro, i pensieri più forti, le donne più belle!».

Così parlò Zarathustra; ma il re di destra rispose: «Strano! S'udirono mai tanto ingegnose parole uscir dalla bocca d'un saggio?

E, in verità, questa è per un saggio la cosa più singolare, d'essere con tutto ciò intelligente e non asino».

Così parlò il re di destra, stupito; l'asino gli fece però malignamente eco col suo raglio.

Ma questo fu il principio di quel lungo pasto che è chiamato «la santa cena» nei libri di storia. Durante quel pasto non si parlò d'altro che dell'uomo superiore.

 

Così parlò Zarathustra

Traduzione italiana di Domenico Ciampoli